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HA scritto una lettera aperta all’assessore allo Sviluppo, formazione e lavoro, Raffaele Liberali, per spiegargli nei particolari tutta l’incredibile vicenda della Sinoro (oggi Sinorop), un altro caso di spreco assurdo delle risorse pubbliche.

«Nel 1987 – ha scritto Pietro Simonetti, presidente del Centro studi e ricerche “Nino Calice” – lo Stato finanziò’ il Centro Orafo, una società italocinese. Spacciato per il più’ grande investimento industriale cinese in Europa doveva recuperare gli impianti della ex Memofil e dare lavoro a circa 100 lavoratori della ex Marzotto: 12 milioni di euro per gli impianti e oltre 800 mila euro per  tre corsi di formazione. Secondo il faccendiere architetto Pirovano, l’azienda avrebbe lavorato quaranta tonnellate di oro all’anno proveniente dalla Cina. Tutti sapevano che dalla Cina non poteva arrivare nulla: era vietata l’esportazione del metallo. L’azienda, che negli anni ha cambiato quattro nomi, è fallita due volte  (Cripo ed Orop), ha prodotto tre processi penali e lavoratori disoccupati dell’ex Marzotto più altri quaranta reclutati per corsi di formazione senza che neppure un grammo di oro delle previste quaranta tonnellate entrasse nella fabbrica. Di fronte alle inadempienze, alle irregolarità  ai fallimenti, il Ministero dello Sviluppo Economico il 6 novembre 2006 revocò il finanziamento e chiese la restituzione di oltre 10 milioni di euro, oltre a disimpegnare circa 5 milioni del contributo residuo rimasto nelle casse dello Stato. A distanza di sette anni dalla revoca e dalla emissione della cartella esattoriale lo Stato non ha ancora recuperato  “il maltolto”.  Anche la Sinoro s.r.l., come le precedenti società, ha prodotto un fallimento e molto altro. In data 24 ottobre 2013 il Tribunale di Potenza ha deciso il provvedimento e Alberto Di Bisceglie nominato curatore fallimentare. Dopo poche settimane, all’ingresso dell’azienda di Tito viene sostituita l’insegna della Sinoro s.r.l. con la targa Sinorp srl. Lo stesso giorno del fallimento, Equitalia sud – che avrebbe in pancia un debito Sinoro di oltre 20 milioni di euro (capitale più interessi) derivanti dalla cartella esattoriale emessa per recuperare il finanziamento statale revocato, vende  all’asta per 1.205.000  il capannone di Tito alla società Sinorop, proprietà a maggioranza cinese e un amministratore unico che si chiama Mauro Nardelli già amministratore unico e poi ad della Orop (già Cripo), dal 1993 al 1999, e poi consulente Sinoro. La Orop fallì come la Cripo, con l’aggravante della bancarotta fraudolenta e relativo processo penale  incardinato. Questa volta cambia la composizione della proprietà. Capitale sociale 10.000 euro, 500 euro Nardelli e 9.500 la Beijing Diamend   società di fabbricazione dei gioielli srl.  La Sinorop è stata costituita a giugno 2012 quando la Sinoro non era ancora fallita. Una  storia ricca  di procedure fallimentari, processi penali che durano   decenni con creditori, compresi i lavoratori in mobilità in possesso di provvedementi per salari e Tfr,  con ricadute gravissime e danni per  altre imprese. Ci sono norme precise che vietano la vendita in tali circostanze. Equitalia sud sapeva del procedimento in corso? Evidentemente ha voluto fare cassa solo con il 5% della cartella Sinoro.  Si dovrebbero accertare le responsabilità, verificare le possibilità di revocatoria e riutilizzare lo stabilimento di Tito, recuperare i fondi stanziati, e i livelli occupazionali fissati all’atto del decreto di finanziamento, circa 100 unità.

Il Consorzio industriale di Potenza, competente per l’assegnazione dei suoli, le riassegnazioni, l’uso dei capannoni e le prelazioni, dovrebbe verificare l’esito delle aste dei macchinari e la  richiesta  di Sinorop e provvedere al recupero produttivo degli impianti.

Forse anche la Regione potrebbe uscire dal “grande sonno” e convocare il curatore fallimentare, l’Asi e le parti sociali (che hanno già chiesto un incontro) per valutare cosa fare a tutela danaro pubblico e dei lavoratori interessati. Evitiamo che la Basilicata muoia; il caso della fabbrica dell’oro che non ha prodotto nulla se non truffe processi e disoccupazione è una delle tante ma resta forse la più grave nel panorama locale e nazionale.

Nel giro di poche settimane con la vicenda legata alla Standartela, alla Cevistrium e Sinoro sono stati messi in discussione oltre 320 posti di lavoro che potevano e possono essere recuperati con il riutilizzo produttivo dei tre capannoni. Signor assessore, cosa aspetta a definire misure ispettive, per mettere a punto di un piano per il riutilizzo dei 100 capannoni vuoti, chiusi o in regime di gestione fallimentare “perpetuo” anche per dare risposta ai circa 2.500 lavoratori in mobilità e ai tanti disoccupati?».

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