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Dad. Tre lettere condensano la difficoltà che il mondo dell’istruzione ha manifestato tentando di adattarsi allo stato d’eccezione causato dalla pandemia. È l’acronimo di “didattica a distanza”, che presuppone l’uso di strumenti digitali per seguire le lezioni e finanche per sostenere interrogazioni ed esami. Alla ridda di critiche di insegnanti e pedagogisti – i quali sottolineano nell’esercizio dell’apprendimento l’importanza della vicinanza fisica – si sommano le diseguaglianze sociali (l’Istat riferisce che un terzo delle famiglie italiane non ha pc o tablet a casa) e criticità varie, tra cui i problemi di connessione.

WEB NON ALLEATO DELLO STUDENTE

Un esempio in questo senso giunge dalla testimonianza di una ragazza romana, che frequenta una facoltà universitaria legata al Turismo. «Nei giorni scorsi ho sostenuto un esame scritto di Macroeconomia», spiega al Quotidiano del Sud. «È stato un putiferio». Racconta che erano una quarantina di studenti: «Siamo entrati in una piattaforma on-line nella quale il professore ha fatto l’appello e ognuno di noi ha risposto mostrando alla videocamera il proprio documento». Dopo di che il docente ha fornito agli studenti un codice da utilizzare per accedere ad un sito e sostenere l’esame.

«Abbiamo avuto soltanto quindici minuti per rispondere a tre domande aperte e molto complesse. Ci è stato dato poco tempo per limitare al massimo il rischio che si potesse copiare, ma così è diventato impossibile scrivere risposte esaustive». Il lavoro è stato svolto con carta e penna e, scaduto il tempo, gli studenti hanno dovuto fotografare il foglio con il proprio telefonino e caricarlo su una piattaforma digitale. E qui sono sopraggiunti gli ostacoli di un web che non è ancora una tavola azzurra nel quale navigare, bensì un mare molto agitato. La giovane romana dice che «molti miei colleghi hanno avuto a che fare con un blocco del sito o con difficoltà nella scansione». Alcuni avevano terminato i quindici minuti prima di altri, dunque per chi era ancora alle prese con l’esame come lei, «è stato estremamente complicato rimanere concentrati mentre qualche compagno interveniva per lamentare problemi di collegamento».

ESPERIENZA POSITIVA, MA…

Più confortante quanto rivela una fuorisede napoletana che studia Giurisprudenza alla Luiss di Roma. «Finora ho sostenuto due esami, entrambi orali», afferma al Quotidiano del Sud. «Mi sono trovata piuttosto bene, anche con l’utilizzo della videocamera del pc». Ciò che lamenta la studentessa, semmai, è che «nell’appello non è stato preso in considerazione l’ordine di prenotazione, ma l’ordine alfabetico. Ciò mi ha penalizzato perché, nonostante mi fossi prenotata con largo anticipo, ho un cognome che inizia con una delle ultime lettere dell’alfabeto». Buono il riscontro per quanto concerne la connessione. «Ha funzionato bene, almeno nel mio caso, mentre alcuni colleghi mi hanno raccontato di aver avuto inconvenienti nella ricezione del segnale in fasce orarie più trafficate, tipo le dodici o le sedici». Nel complesso, il suo è un beneplacito. «Sono contenta per lo svolgimento di questi due esami, anche se la presenza è una modalità preferibile». Pertanto, sebbene abbia avuto finora un’esperienza positiva, la studentessa di giurisprudenza crede che «non si possa sostituire la didattica e gli esami in presenza con il digitale».

LA LETTERA AL RETTORE

Dubbi sulla scuola digitale li ha espressi uno studente dell’università abruzzese “Gabriele d’Annunzio” al proprio rettore. Nella missiva, pubblicata da “ChietiToday”, sulle registrazioni degli esami a distanza il giovane si domanda: «Se dovessero sorgere problemi (violazione della privacy, intromissioni di hacker, registrazioni rubate o che circolano in rete, etc.) di chi è la responsabilità penale?». Inoltre, lo studente affronta un altro punto, quello dell’obbligo di mantenere la distanza di un metro dal pc durante l’esame, che reputa «irrealistica da rispettare perché le scrivanie hanno una larghezza standard di 80 centimetri circa», nonché di dover tenere il microfono acceso, senza cuffie. «Lo immagino come un castigo noioso – afferma -, non per l’alunno ma per terze parti conviventi, che si trovano costretti a dover subire questa situazione senza essere i diretti interessati. Non sarebbe meglio quindi incentivare l’uso delle cuffie limitando così possibili disturbi e interferenze?». Insomma, bene la tecnologia come supporto, ma sempre meglio il rapporto de visu.


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