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NESSUN rischio disimpegno Eni sul territorio nazionale, dopo la scoperta del mega giacimento nel mar Mediterraneo, al largo delle coste egiziane.

«In nessun altro Paese investiamo quanto in Italia». Parola del numero uno della compagnia del cane a sei zampe, Claudio Descalzi, che un’intervista rilasciata a Panorama, quantifica in numeri l’impegno nazionale: otto miliardi di euro per il periodo 2015-2018, con 24.000 persone impiegate.

«Operiamo in 83 nazioni, ma il nostro successo nasce qui: qui ci sono le nostre origini e qui continueremo a stare». Numeri da capogiro. Un fatturato da 109 miliardi di euro, con un utile di 1,29 miliardi e 1,6 milioni di barili al giorno prodotti nei Paesi in cui la compagnia è presente. E la consapevolezza che in Italia «la produzione potrebbe raddoppiare nel giro di dieci anni».

Con grandi vantaggi – sottolinea l’Ad – non solo in termini economici per lo Stato, ma anche occupazionali: si potrebbero ridurre le importazioni di 50 miliardi, aumentare di 25 miliardi gli introiti per le casse pubbliche e decine di migliaia di nuovi posti di lavoro.
Negli ultimi dieci anni, invece – dato che forse sfugge a molti – la produzione nazionale si è dimezzata, passando da da 400.000 a 200.000 barili al giorno (di cui – aggiungiamo noi – attualmente circa 80.000 estratti in Basilicata).

E non perché l’Italia sia povera di gas e petrolio. Anzi. «Il patrimonio di idrocarburi italiano va riletto all’interno del contesto europeo, dove l’Italia occupa una posizione tutt’altro che marginale (escludendo il Mare del Nord): è al primo posto per riserve di petrolio e in termini di estrazioni è seconda solo alla Danimarca. Per quanto riguarda la produzione di gas, è quarta per riserve e sesta per produzione».

«Potremmo estrarne di più, come nel mar Adriatico. Ma non lo lasciano fare. E io non me la sento di fare una battaglia su questo in Italia. Ci chiamano in tutto il mondo per cercare di sfruttare giacimenti, compresa la Norvegia».

A Panorama, Claudio Descalzi, dà anche il suo parere sullo Sblocca Italia. E, rispondendo alle domande del giornalista, ammette: «Sì, ha reso più facile l’esplorazione petrolifera. Ma il fenomeno Nimby è ancora forte. Soprattutto dove non siamo già presenti, dove c’è minore conoscenza dell’industria petrolifera ».

L’amministratore di Eni risponde a un’altra delle domande che da anni tormentano la Basilicata: quella sulle royalty, in Italia più basse che in altri paesi.

«In Italia, il prelievo fiscale totale sulle attività di estrazioni e produzione è il più alto in Europa: le royalty rappresentano solo una delle componenti della fiscalità che lo Stato applica alle società».

Poi conclude e ribadisce: «Crediamo nell’Italia e non solo per quanto riguarda lo sfruttamento delle sue risorse di idrocarburi. Abbiamo lanciato progetti ambiziosi – come la riconversione di Venezia e Gela – che ci consentiranno, entro quest’anno, di portare in attivo tutti i nostri business. 

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