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CROTONE –  Il nome di Eugenio Ferrazzo era salito agli onori della cronaca non solo per armi e droga, ma anche per un giallo che ha coinvolto anche il collaboratore  di giustizia, Luigi Bonaventura, di Crotone. Nel settembre 2007, infatti, un  un ucraino annunciava morte per i “Buonaventura”, indirizzata ad un esponente del clan Ferrazzo, ed in particolare, proprio ad Eugenio. In realtà, sembra che colui che doveva essere eliminato fosse  Bonaventura, Luigi, ex reggente della cosca Vrenna Bonaventura Corigliano, interrogato sul caso,  da un magistrato della Dda dell’Aquila. «Mi è stata sottoposta questa lettera per verificare se ne sapessi qualcosa e se fossi in grado di decifrarne il contenuto – dice Bonaventura – quello che è certo è che nel settembre 2007 io già collaboravo con la giustizia». Le storie di Bonaventura e Ferrazzo si intrecciano, visto che, proprio a Termoli, località in cui risiedeva il collaboratore, i carabinieri avevano ritrovato un arsenale  che gli inquirenti ritengono fosse a disposizione proprio del clan Ferrazzo, visto che il magazzino in cui è stato trovato, era nella disponibilità di Felice, il boss pentito. Tornando alla lettera,  lo stesso Bonaventura al Quotidiano dichiarò che «in sintesi dice che adesso si possono sentire perché la posta non è più controllata. presto più soldi, più droga, più armi, più potere. i Buonaventura sono già sotto sette metri di terra e pagheranno cosa hanno fatto ai tuoi fratelli». E lo stesso collaboratore, poi, a svelare che «il destinatario della lettera era Eugenio Ferrazzo». Il figlio di Felice, è residente a Campomarino, paese poco distante da Campobasso, dove si intreccia un’altra storia di ‘ndrangheta che ha origini nel Crotonese. La storia è quella di Lea Garofalo, la testimone di giustizia uccisa e poi sciolta nell’acido, perchè voleva denunciare il convivente, Cosco.  A Campomarino,  Eugenio  fu arrestato con la moglie e altre due persone nel maggio 2011, perchè avevano  adibito un garage a raffineria di droga nel quale, oltre a 2,5 chili di cocaina in panetti. Nello stesso locale, poi, erano nascoste anche cinque pistole con la matricola abrasa. L’arsenale sequestrato dalla polizia a Termoli (sempre in provincia di Campobasso) sarebbe stato nella disponibilità di Felice Ferrazzo, 56 anni, ex capo dell’omonimo clan di Mesoraca e da alcuni anni collaboratore di giustizia. Felice Ferazzo fu arrestato a Milano perché, per l’accusa, era lui che aveva fittato il garage nel quale era stata rinvenuta un’auto piena di fucili mitragliatori, tra cui alcuni kalashnikov, pistole, silenziatori, passamontagna, giubbotti antiproiettile e munizioni. Tornando a Bonaventura, dichiarò anche che  un «finto pentito» vicino ai Ferrazzo lo contattò allo scopo di attirarlo in una trappola. Bonaventura, poi, fa  riferimento ai Ferrazzo anche per la vicenda dei tre  ragazzi di Mesoraca, Domenico Ruberto, Francesco Zinna e Aurelio Lombardo Somma, scomparsi nel nulla il 29 giugno 2000, proprio nel giorno del suo matrimonio, forse a causa di uno sgarro. «Il primo abbordaggio -aggiunge il collaboratore di giustizia – mentre ero sotto protezione lo subii proprio nel periodo in cui Ferrazzo riceveva quella lettera». Una serie di storie criminali, dunque, che partendo da Mesoraca, nel Crotonese, ha trasferito i suoi interessi prima nel Molise, per poi allungare i suoi tentacoli fino in Svizzera. E’ appena il caso di rilevare che, proprio in Svizzera, c’è una forte comunità  originaria proprio di Mesoraca.

 

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