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MARATEA – Il sogno che dopo 12 anni era tornato a far sperare i marateoti potrebbe avere le ore contate. A distanza di qualche settimana dalla firma dell’accordo in Regione, il progetto per la reindustrializzazione della Lucana Calzature inizia a fare acqua da tutte le parti. Nel “curriculum” di Alta sartoria italiana, la società che ha vinto il bando per un investimento complessivo di più di 12 milioni di euro, di cui la metà di contributi pubblici  a fondo perduto, sembra avere più ombre che luci. Almeno stando alle novità emerse nel corso dell’ultimo consiglio comunale che si è svolto a Maratea. In cui, carte alla mano, il consigliere d’opposizione, Carmelo Ferrara, ha illustrato tutti i legittimi dubbi in merito alla (in)fattibilità del progetto. Secondo le rosee previsioni alla base dell’accordo, gli imprenditori sbarcati in Basilicata dovrebbe dare lavoro a 163 persone, di cui 60 della ex fabbrica di scarpe, oggi in mobilità. Ma in pratica, l’affare sembra sempre più destinato a tradursi nell’ennesimo bluff.

Molte sono le perplessità sollevate, innanzitutto, rispetto allo “stato di salute” della società  che ha vinto il bando con un progetto che dovrebbe trasformare il sito in cui si facevano scarpe, in un polo produttivo di alta sartoria.

A cominciare proprio dalla classificazione delle attività. Fino a ora, Alta sartoria italiana, di filati sembra non averne mai lavorato. Da quello che risulta dalla descrizione della attività, la Spa – nonostante nel suo statuto, alla voce “oggetto sociale” preveda anche la fabbricazione – fino a ora si è occupata della sola commercializzazione all’ingrosso di capi di abbigliamento e accessori. O almeno è questo quanto risulta dalla consultazione della Cribis D&G. Ovvero la compagnia di credit rating specializzata nella business information. E che, tra le sue attività, “misura” proprio il rischio aziendale. Se una banca, a esempio, vuol sapere se accordare o meno una richiesta di credito, può rivolgersi a questo tipo di società per valutare la sicurezza dell’operazione e l’affidabilità del suo clinete.

Ebbene, secondo la valutazione che ne fa la Cribis, Alta sartoria italiana è esposta a un elevato  rischio  di credito 83 su 4), con possibilità di chiudere i battenti più alta della media. In pratica – dice la Cribis – “il 91 per cento delle aziende italiane ha un rischio inferiore (rispetto alla società in questione ndr) di cessazione”. E ancora: “Il 72 per cento delle imprese italiane ha minore possibilità di pagare con gravi ritardi”.  La Cribis dice pure che, in base alle caratteristiche che presenta, in caso di fido, l’esposizione massima consigliata è di 2.100 euro. La stessa società a cui invece la Regione si appresta a concedere ben sei milioni di euro. E il resto della documentazione non è più rassicurante. La maggior parte delle azioni della società (il 36 per cento) sono detenute  dall’imprenditore siciliano, Federico Scionti, che è l’unico tra i soci a essersi occupato realmente di produzione di abiti di alta sartoria. Le restanti quote, invece, sono detenute per lo più da società alberghiere. Con un capitale sociale di 180.000 euro, uno stato patrimoniale di 185.000 euro, un fatturato di 468.000 euro e un totale passivo di quasi 600.000 euro, conta tre dipendenti per una spesa per salari pari a 2968 euro. Insomma, l’impresa tessile non sembra avere i numeri all’altezza dell’ambizioso progetto che si vuol portare avanti a Maratea. Nell’ambito del quale – è bene ripeterlo – è previsto la creazione di oltre 160 posti di lavoro. Ma le anomalie non finiscono qua. E non riguardano solo la società che si è aggiudicata il bando. Nelle sue osservazioni in aula, infatti, il consigliere Ferrara ha messo in evidenza una serie di altre “anomalie”,  in grado di far saltare il progetto. «Innanzitutto – precisa Ferrara – il fabbricato della ex Lucana Calzature non risulta accatastato. Quindi, mi chiedo come il Comune abbia potuto metterlo in vendita. Inoltre – accusa il consigliere di “Insieme per Maratea” – come si può procedere a sottoscrivere un contratto senza aver fatto eseguire una valutazione dei lavori di adeguamento dello stabile per renderlo valido ai fini della produzione. Nel verificare gli atti che mi sono stati consegnati, trovo solo un sommario elenco di lavori da eseguire con un importo sommario stimato in euro 2.300.000 euro. Documento senza firma, ne’ indicazioni di chi lo ha redatto, tranne un dettaglio che è stato redatto a Lauria il 18.03.2014». Oltre a questo, il canone proposto di fitto avrebbe tenuto conto dello stato attuale del manufatto e non di quello successivo all’adeguamento previsto. Che, per di più, nella bozza di accordo, per la locazione e opzione all’acquisto, ha preso impegno a far realizzare ulteriori 2.500 metri quadrati su terreni di proprietà dell’amministrazione comunale, con cessione a titolo oneroso, senza preventivamente concordare il costo dei terreni di cui di fatto si perderà la proprietà. Insomma, molte le criticità, a partire dall’elevata fragilità finanziaria della società, certificata dalla Cribis. Che dopo più di dodici anni, più che al miracolo, farebbero gridare all’ennesimo scandalo.

m.labanca@luedi.it

 

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