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Montauro Lido – A Palermo lo chiamavano “Faccia da Mostro” o il “Butterato” per quella sua faccia marchiata da un colpo d’arma da fuoco. Pentiti e testimoni lo indicano come “l’uomo dello Stato” capace di muoversi sulla linea di confine, di apparire e scomparire, di avere rapporti con gli uomini di Cosa Nostra. Uno “sbirro” legato ai servizi deviati che sarebbe stato presente sui luoghi delle stragi. Dicono che nei giorni degli attentati era all’Addaura, a Capaci, in via D’Amelio. Un fantasma contro cui  però non è mai stato trovato lo straccio di una prova, un riscontro. Un abile doppiogiochista scomparso nel nulla da anni, quasi a far pensare che non sia mai esistito. 
Invece Giovanni Aiello esiste, eccome. Ieri mattina passeggiava sulla spiaggia di Calalunga a Montauro Lido. Se ne stava davanti al suo capanno a guardare il mare. Chiuso in un giaccone rosso consumato dal sole e dalla salsedine. I capelli stopposi, lunghi fino alla spalla, biondo di quel biondo che sessantasette anni di età li sentono tutti. Capelli, stanchi, impastati a coprire parte di quel volto “butterato” che porta il segno di un colpo di pistola che ha lasciato la sua firma dalla guancia destra fin giù al collo. “Faccia da Mostro” vive a Calalunga praticamente da sempre. Lui dice dal 1979, da quando è andato in pensione dalla polizia. E dice anche che con quei fatti palermitani lui non c’entra niente, che a lui personalmente nessuno ha mai contestato o chiesto niente. Strana storia la sua. Molto strana.
Aiello ieri mattina non sembra neppure sfiorato da quel che si dice nelle procure siciliane. Conduce una vita riservata, parla poco, è schivo. «Io non centro niente, scusate ma non ho altro da aggiungere».
A Montauro frequenta quasi nessuno. Qualche amico d’infanzia e i vicini di casa, tutti pescatori, o del quartiere, come lui d’altra parte che in quel quartiere c’è cresciuto, da figlio e nipote di pescatori. Da pescatore. Appare infastidito, le domande non gli piacciono. «Non c’è niente da dire». Poi si rilassa un po’, senza mai perdere il controllo sulle parole. E’ un uomo intelligente, ha esperienza. E racconta. Il suo arruolamento in Polizia. «Avevo 17 anni e mezzo, mi chiamarono in ritardo, tanto che pensavo di essere stato scartato poi quando arrivai in una caserma fuori Roma mi accorsi che eravamo in 320, ed io che pure ero alto un metro e 84 ero il più piccolo. Era una sorta di reparto speciale, tutti ragazzi giovani e prestanti. Era il 1964 e si temeva il Piano Solo, il famoso golpe De Lorenzo».
Poi l’esperienza in Sardegna durante la stagione dei sequestri di persona. E svela il mistero di quello sfregio sulla faccia di cui si è sempre detto essere stato provocato da un incidente.
«Nel ‘66 ci fu uno scontro a fuoco contro il gruppo di Graziano Mesina. Fu li che venni colpito al volto». Quindi la volta di Palermo. Negli anni più difficili, all’antirapine, alla sezione Duomo e alla Mobile. Un periodo complicato di cui Aiello non parla volentieri «mi ricordo tutti i capi della Mobile, anche quello che poi hanno ammazzato (Boris Giuliani), amici ne avevo uno solo che poi è morto». Dal ‘79 in poi la sua esistenza, secondo il suo racconto, si è trasferita a Montauro. Dove vive di pensione e di pesca. La casa è stata costruita pezzo pezzo, legno e pietra. Poco più di una baracca. Accanto la barca, nella veranda gli attrezzi della pesca, le conchiglie, le reti, i ganci, un salvagente rosso appeso su un muro. Poca roba. Una figlia che studia arte in America e qualche parente. In passato aveva gestito un rimessaggio per barche assieme al cognato, un tedesco che si chiamava Bucher, lui è morto e al capannone ora ci bada il nipote. «Vede questo posto? E’ meraviglioso, si sta bene, non c’è confusione. Io voglio solo stare tranquillo, perchè io non c’entro niente». 

MONTAURO LIDO (CZ) – A Palermo lo chiamavano “Faccia da Mostro” o il “Butterato” per quella sua faccia marchiata da un colpo d’arma da fuoco. Pentiti e testimoni lo indicano come “l’uomo dello Stato” capace di muoversi sulla linea di confine, di apparire e scomparire, di avere rapporti con gli uomini di Cosa Nostra. Uno “sbirro” legato ai servizi deviati che sarebbe stato presente sui luoghi delle stragi. Dicono che nei giorni degli attentati era all’Addaura, a Capaci, in via D’Amelio. Un fantasma contro cui  però non è mai stato trovato lo straccio di una prova, un riscontro (LEGGI LE INCHIESTE). Un abile doppiogiochista scomparso nel nulla da anni, quasi a far pensare che non sia mai esistito. Invece Giovanni Aiello esiste, eccome. 

 

Ieri mattina passeggiava sulla spiaggia di Calalunga a Montauro Lido. Se ne stava davanti al suo capanno a guardare il mare. Chiuso in un giaccone rosso consumato dal sole e dalla salsedine. I capelli stopposi, lunghi fino alla spalla, biondo di quel biondo che sessantasette anni di età li sentono tutti. Capelli, stanchi, impastati a coprire parte di quel volto “butterato” che porta il segno di un colpo di pistola che ha lasciato la sua firma dalla guancia destra fin giù al collo. “Faccia da Mostro” vive a Calalunga praticamente da sempre. Lui dice dal 1979, da quando è andato in pensione dalla polizia. E dice anche che con quei fatti palermitani lui non c’entra niente, che a lui personalmente nessuno ha mai contestato o chiesto niente. Strana storia la sua. Molto strana.Aiello ieri mattina non sembra neppure sfiorato da quel che si dice nelle procure siciliane. Conduce una vita riservata, parla poco, è schivo. «Io non centro niente, scusate ma non ho altro da aggiungere».

A Montauro frequenta quasi nessuno. Qualche amico d’infanzia e i vicini di casa, tutti pescatori, o del quartiere, come lui d’altra parte che in quel quartiere c’è cresciuto, da figlio e nipote di pescatori. Da pescatore. Appare infastidito, le domande non gli piacciono. «Non c’è niente da dire». Poi si rilassa un po’, senza mai perdere il controllo sulle parole. E’ un uomo intelligente, ha esperienza. E racconta. Il suo arruolamento in Polizia. «Avevo 17 anni e mezzo, mi chiamarono in ritardo, tanto che pensavo di essere stato scartato poi quando arrivai in una caserma fuori Roma mi accorsi che eravamo in 320, ed io che pure ero alto un metro e 84 ero il più piccolo. Era una sorta di reparto speciale, tutti ragazzi giovani e prestanti. Era il 1964 e si temeva il Piano Solo, il famoso golpe De Lorenzo».Poi l’esperienza in Sardegna durante la stagione dei sequestri di persona. E svela il mistero di quello sfregio sulla faccia di cui si è sempre detto essere stato provocato da un incidente.«Nel ‘66 ci fu uno scontro a fuoco contro il gruppo di Graziano Mesina. Fu lì che venni colpito al volto». Quindi la volta di Palermo. Negli anni più difficili, all’antirapine, alla sezione Duomo e alla Mobile. Un periodo complicato di cui Aiello non parla volentieri «mi ricordo tutti i capi della Mobile, anche quello che poi hanno ammazzato (Boris Giuliani), amici ne avevo uno solo che poi è morto». 

Dal ‘79 in poi la sua esistenza, secondo il suo racconto, si è trasferita a Montauro. Dove vive di pensione e di pesca. La casa è stata costruita pezzo pezzo, legno e pietra. Poco più di una baracca. Accanto la barca, nella veranda gli attrezzi della pesca, le conchiglie, le reti, i ganci, un salvagente rosso appeso su un muro. Poca roba. Una figlia che studia arte in America e qualche parente. In passato aveva gestito un rimessaggio per barche assieme al cognato, un tedesco che si chiamava Bucher, lui è morto e al capannone ora ci bada il nipote. «Vede questo posto? E’ meraviglioso, si sta bene, non c’è confusione. Io voglio solo stare tranquillo, perchè io non c’entro niente». 

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