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IL GRANDE Giorgio Faletti pare aver seguito il consiglio del noto film lucano “Stand by me”, che invitava a venire a morire a Matera, per avere un trapasso quasi “sacro”. E così è stato, per il poliedrico artista italiano che ieri ci ha lasciato, poiché il ricordo più emblematico della sua recentissima prima volta Lucana, a Matera, è un luminoso scatto fotografico che lo immortala proprio nel Parco del Paradiso. Quello di Antonio, Paradiso. Alle porte di Matera, dove il nostro imperituro comico-musicista-scrittore volle mettersi in ironica  posa innanzi a una melodia forgiata d’acciaio, col tufo alle spalle, quasi a voler essere scolpito nell’eternità di questa città immobile destinata a grandi cose.

Sono ricordi lucani di quando il geniale Giorgio è venuto a Matera, quasi in incognito e per una premiere dal sapore amaro, esattamente un anno fa. Faletti e signora arrivarono in Via Lucana il 19 luglio 2013, di pomeriggio e ripartirono il 21 luglio per Bari, dove il sindaco Emiliano, nel giorno del suo compleanno, celebrò – al Fortino – le nozze di Lucio Fabbri, il famoso violinista della Premiata Forneria Marconi, con cui Faletti aveva suonato. Il più illustre tra gli astigiani giunse così tra i Sassi quasi per caso con la dolce Roberta, l’amatissima consorte. Ma dolori lancinanti gl’impedirono di godersi il faticoso Tour. Ai due fu proposto come cicerone l’artista Sergio Laterza, che li ha fatti alloggiare tra le cisterne della Corte San Pietro, dal maestro Fernando Ponte e li doveva portare in giro per godere appieno di Mater-Matera. Ma Giorgio non se la sentiva. Stava già male. La schiena non gli dava tregua. Troppo impervio l’itinerario di questa Machu Pichu delle Murge per colui che impersonando Vito Catozzo, infuse intelligenza allo stereotipo della guardia meridionale, rendendola epica. Dal palco di “Drive In”-  che fu il Mein Kampf del ventennio mediasettiano – a Sanremo, dall’Olimpo della letteratura a Matera. Dove Faletti, dopo decenni di gloria nello star system, inizia a non riprendersi più dal serio male che l’ha colpito. Ma ecco che l’inventore del modo di dire “Minchia signor Tenente” non vuole darsi per vinto. Così l’accompagnatore propone una sola visita che può condensare il tutto. Dove? In uno dei musei più belli della città che vuole esser capitale della cultura: il Parco-scultura di Antonio Paradiso. Un museo spontaneo che nasce in una cava e ti sospinge nell’aldilà. Giorgio ha tutto ciò che gli serve, per il grande viaggio. Un pentagramma, il cielo, la pace di colombe come note musicali. Tra cielo e terra c’è lui. Faletti.

 Il funambolico (in senso positivo) Giorgio, infine sbarca nella sobria suite on the rock e vuole riposarsi un po’. Nel frattempo la signora Roberta svolazzerà qua e la’ tra gli antichi rioni, in piena Sindrome di Stendhal, immortalando ogni cosa. Lui, il sommo e incompreso (dalla critica) scrittore, dopo un po’ si desta. «Dormito bene?» gli fa Fernando. E Faletti, stiracchiandosi: «Come un Sasso!». Unico! Inimitabile! Ci mancherà. Mancherà a molti, pare. Poiché scorrendo i network sociali, nelle ore immediatamente successive al diffondersi della ferale notizia, sembra che chiunque abbia aneddoti personali vissuti con Faletti, da condividere. Incredibile quanta gente egli abbia conosciuto. E a quanti abbia dato “confidenza” senza tirarsela affatto, nonostante lo status di artista totale. Parecchi lo frequentavano assiduamente e moltissimi l’avevano conosciuto. Persino l’algido Chiaberge (si scherza, Ricca’) ne serba un dolce ricordo. Addirittura Alessio Di Martino ci ha bevuto del vino insieme (non è il marito di Belen, bensì uno dei grandi sconfitti dell’ultimo Premio Strega!). «Certo. E’ così che si diventa bestseller. Conoscendo tutti…» dice lo psicologo/scrittore di Bari, Nicola Boccola. E non ha tutti i torti. Così Faletti ci lascia l’archetipo – modernissimo – dell’artista sociale (non “social”, si badi), contrapposto a quello misantropo e depresso che impazzava nel Novecento.

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