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POTENZA – «Quando le donne si rivolgono ai consultori vuol dire che hanno fatto già fatto venti passi in avanti. Vuol dire che hanno preso coscienza della loro condizione di vittima. Ma questo non succede quasi mai: nel 97% dei casi questo non accade».

Vittoria Doretti è responsabile del Centro coordinamento vittime violenza task force Asl – Procura della Repubblica presso l’Asl 9 di Grosseto. E’ l’ideatrice del “Codice rosa” in Italia.

Ieri mattina era a Potenza. Perché l’obiettivo è esportare un modello che, finora, ha dato risultati importanti nella lotta alla violenza. Non solo quella contro le donne, ma anche quella verso tutti i soggetti più deboli della società: gli anziani, i bambini, gli extracomunitari. Perché l’obiettivo finale è semplicemente uno: il rispetto della persona umana.

Quel modello da oggi è una realtà anche in Basilicata. Un protocollo importante, che si propone di passare dalle parole ai fatti.

«Un atto importante in questo momento storico – ha detto il capo del dipartimento per le politiche del personale dell’amministrazione civile, il prefetto Luciana Lamorgese – di cui siamo orgogliosi, anche perchè è la perfetta sintesi delle linee guida del ministero dell’Interno, poichè “rosa” non è solo difesa delle donne ma di tutte le fasce deboli».

E c’è tutto l’orgoglio della Basilicata in questo protocollo: la prima regione del Mezzogiorno ad attivare il “Codice rosa”, la prima ad affrontare in maniera chiara un problema sociale e culturale che presenta numeri sempre più allarmanti.

Bisognava fare ed è stato fatto, partendo dalla sanità: un’unica task force, a cui partecipano le istituzioni della Basilicata, le strutture sanitarie e i rappresentanti delle forze dell’ordine. E l’iniziativa, partita grazie a un progetto della Commissione regionale Pari opportunità, va a cercare i problemi laddove spesso si annidano, ovvero tra le mura domestiche. 

«Si tratta di un’esperienza importante – ha detto il viceministro all’Interno, Filippo Bubbico – in particolare nel Mezzogiorno, per una regione che ha la forza di confrontarsi con nuove sfide e darsi nuovi obiettivi, preservando la dignità delle fasce deboli che subiscono violenze». Una meta, questa, evidenziata anche dalla presidente della Commissione regionale per le Pari opportunità, Antonietta Botta: «Non deve essere un tavolo di solo monitoraggio – ha spiegato – ma un vero codice di comportamento per tutti quelli che operano nei presidi di primo soccorso».

«Tutto l’apparato dello Stato deve intervenire – ha detto il procuratore della Repubblica di Potenza, Laura Triassi – perché c’è un aumento del 20% delle violenze domestiche. E noi dobbiamo cambiare prospettiva: un tempo le mura di casa erano un limite invalicabile per lo Stato. Oggi si deve entrare laddove c’è un abuso, una vittima. E per tutelare quelle vittime dobbiamo fare il modo che anche tutta la fase processuale non diventi un’ulteriore violenza. E’ molto importante quindi che anche la raccolta delle dichiarazioni avvenga non in una stazione di polizia, ma in un luogo protetto, dove una donna si senta tranquilla, tutelata, supportata da persone specializzate. Bisogna essere in grado di raccogliere subito tutti i necessari riscontri, perché un quadro probatorio fragile espone la persona offesa a ulteriori violenze». E poi la vittima va resa autonoma, come sottolineato anche dal procuratore della Repubblica di Matera, Celestina Gravina. Perché se una donna è sola, senza un lavoro che la renda indipendente economicamente, non si sentirà in grado di lasciare quella casa dove subisce violenza. «L’intervento penale deve essere l’extrema ratio. Noi dobbiamo agire prima».

Per questo il prefetto Antonio Nunziante parla di «un protocollo complesso, in cui ogni istituzione farà la sua parte. Un protocollo che dovrà necessariamente prevedere una fase repressiva, ma bisognerà andare oltre, bisognerà essere capaci di toccare questioni delicate, intime. Ma, se si considera che spesso queste violenze succedono davanti ai bambini, bisognerà fare di tutto affinché il fenomeno della violenza sulle donne venga definitivamente debellato».

«Il San Carlo – ha ribadito allora il direttore generale del San Carlo, Giampiero Maruggi – prenderà seriamente il percorso del “Codice rosa”. Da subito. Per questo l’Asl 9 di Grosseto ci seguirà da vicino in questa prima fase di formazione. Dobbiamo far di tutto per supportare la vittima perché non torni più nel teatro della violenza e accanto al suo carnefice». Perchè il femminicidio, quello che qui si è portato via Grazia Gioviale, Elisa Claps e Anna Rosa Fontana, è spesso solo la punta dell’iceberg. Ed è arrivato il momento di dire basta.

a.giacummo@luedi.it

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