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Egregio Direttore,
l’articolo di Di Consoli (“L’agonia del sistema Basilicata) rappresenta una lucida analisi dei giorni che viviamo ed un appello che non può cadere nel vuoto.
I temi della trasparenza, della legalità, della moralità pubblica, del clientelismo, sono troppo importanti – per l’oscuro futuro di questa regione – per essere lasciati alle sterili declamazioni di un’etica molto invocata e poco praticata.
Sono temi difficili da affrontare, ma fondamentali per costruire una nuova società dove per tutti – e non per i soliti noti (parenti ed amici di…) – ci siano le stesse opportunità, dove l’aria, l’acqua, l’ambiente, i prodotti della nostra stupenda terra costituiscano ancora un piacere da gustare e non fonte di dubbi, perplessità, paure. Perché la vicenda “Fenice” , tra i tanti aspetti inaccettabili, ne ha uno che costituisce il compendio di un modo di fare e di amministrare: l’assoluta mancanza di trasparenza, i dati non forniti “perché la gente non deve sapere”. Sulla salute non si scherza: un terreno inquinato “genera corpi” inquinati! Ho detto e ripetuto (forse inascoltato) che non si può continuare a “girare la testa dall’altro lato”: per noi e per chi vivrà la nostra terra dopo di noi.
La curva di crescita dei tumori – ormai stabile nelle altre regioni – da noi è in continuo aumento: secondo i dati che mi ha fornito l’assessore alla sanità in risposta ad una mia recente interrogazione, siamo già oggi al primo posto per quel che concerne l’incidenza dei tumori negli uomini nella fascia d’età da 20 a 59 anni e nelle donne da 0 a 20 e da 70 a 84 anni!
E poi il petrolio, l’amianto, la Trisaia di Rotondella, le vasche di fosfogessi a Tito, la “Materit” a Ferrandina: e l’elenco potrebbe continuare.
La vicenda “Fenice” sta anche portando alla luce un diffuso sistema clientelare che riguarda gli enti e le aziende pubbliche: ma è davvero una novità?
Certo, vederlo scritto “nero su bianco” è diverso che sussurrarlo nei corridoi o nelle discussioni da bar.
E’ un discorso difficile da affrontare, ma non farlo significa essere accomunati in un giudizio negativo da cui voglio tenermi ben distante.
La “captazione” del consenso ha origini lontane: atti – anche formalmente legittimi – possono eludere le norme di un sistema troppe volte ancorato alla logica del “do ut des”, dove le scelte meritocratiche cedono spesso il posto alla valutazione dei voti che si portanto “in dotazione” .
Cosa possiamo fare? Nomine svincolate dalla politica, concorsi trasparenti con Commissioni che siano davvero garanzia di autonomia, regole etiche che tutti devono rispettare.
Io penso che non possiamo più permetterci di accettare passivamente questa situazione: perché anche solo la mancata reazione significa continuare ad alimentarla. E noi non abbiamo più tempo da perdere, come ha detto giustamente Di Consoli.

Alessandro Singetta
Consigliere Regionale Api

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