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POTENZA – E’ il solito scontro tra Titani, la tutela ambientale da un lato e il diritto al lavoro dall’altro. Come se l’uno escludesse l’altro. Dipenderà infatti dalla sentenza del Tar del prossimo 8 settembre sul provvedimento con il quale venne bloccato il forno rotante destinato ai rifiuti industriali dell’inceneritore Fenice-Edf, oggi Rendina Ambiente, la sorte dei lavoratori del termodistruttore.

Non è infatti un caso che il tavolo tecnico concesso ieri dopo un sit in di protesta in viale Verrastro si riunirà il giorno successivo, il 9 settembre, per meglio comprendere le intenzioni dell’azienda, che ha avviato 5 licenziamenti mentre altri ne starebbero per partire, proprio in conseguenza di questa riduzione dell’attività produttiva.

La causa del licenziamento, infatti, sarebbe stata attribuita all’esubero del personale, generalmente per legge stabilito tenendo conto di tre parametri: carichi familiari, anzianità di servizio ed esigenze produttive. Sono 53 i dipendenti ex Fenice. Alcuni in servizio da 20 anni.

Cinquantacinquenni che oggi, con una famiglia a carico, non trovano più collocazione nel mercato del lavoro. La richiesta dei sindacati è che la Regione Basilicata intervenga affinché l’azienda blocchi i licenziamenti in atto e metta il prima possibile mano al piano regionale dei rifiuti «ormai al collasso. La politica lucana decida una volta per tutte – dice Galgano, della segreteria Uil – chi deve smaltire i rifiuti, Fenice o altri? Cosa prevede il piano regionale? Non solo deve farcelo sapere al più presto ma deve anche assicurarci che, nel caso in cui si decida per un’altra azienda, vengano salvaguardati tutti i livelli occupazionali e reintegrati i lavoratori licenziati».

Comprendendo anche l’indotto, tra manutenzione e pulizie, le unità a rischio sarebbero almeno un centinaio. Per i sindacati si tratta di un vero e proprio «ricatto aziendale»: Fenice usa i lavoratori per ottenere certezze dalla Regione Basilicata. Posizioni concordi anche dal mondo politico.

«Il licenziamento dei lavoratori da parte della società Fenice – dice il consigliere regionale del Gruppo Misto, Giannino Romaniello – è un atto di ostilità e di ricatto inaccettabile nei confronti del nostro territorio». Per il consigliere Fenice è «un’ azienda che ha determinato gravi danni ambientali, non facendo investimenti e innovazione sia tecnologici che in particolar modo sulla sicurezza nascondendosi dietro le incertezze sul proprio futuro. Sono le incertezze determinate da loro, che guardando solo al proprio profitto, a portare alla situazione attuale. La Regione – conclude il consigliere – le forze sociali e i Comuni interessati, nel respingere qualsiasi forma di ricatto, hanno il dovere di far rispettare norme e leggi in materia ambientale, nonché di decidere sulla gestione dei rifiuti in piena autonomia ma, nello stesso tempo, di farsi carico del futuro occupazionale dei lavoratori».

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