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CI SONO pure le femministe nel piazzale antistante i cancelli della Fiat di Melfi. Dalla Puglia sono arrivati i Proletari comunisti e i pensionati dello Spi Cgil ragionano sotto le banchine sui termini della protesta. Si aspetta il turno delle 9.30, dovrebbe uscire qualcuno, ma dai cancelli della Sata gli unici che transitano liberamente sono poliziotti in divisa e guardie giurate. Se non si può entrare si può sempre tappezzare i cancelli di striscioni e bandiere. E così la piazza si colora di rosso in men che non si dica. Il primo ad arrivare è il camioncino della Fiom. Ha i megafoni, l’impianto acustico che si perderà per strada rendendo il comizio comprensibile a pochi dei trecento che affolleranno il piazzale a metà mattinata. La pioggia è impietosa con chi protesta sotto gli ombrelli rossi, così come i cappucci dei tre operai licenziati e le felpe dei sindacalisti più agguerriti. Fa freddo e si sta all’impiedi, del resto è di condizioni «disumane» che si sta parlando. «Quando escono dal turno di sette ore e mezza non hanno nemmeno la forza di parlare quegli operai», dice Vincenzo Russo della Fialms, che si ricorda dei sindacati corporativi fascisti e dal microfono invita quelli moderni a non fare la stessa fine. «Ha aderito il 40%, cammina una sola linea e un¹altra funziona a stop and go», urla entusiasticamente il segretario regionale del sindacato più intransigente Manuele De Nicola. L’indotto è dato a braccia conserte per il 70%, col risultato che le forniture non arrivano e la catena di montaggio della Punto è costretta a fermarsi. L’azienda, con una nota d’agenzia, farà sapere che la produzione non si è affatto fermata e che lo sciopero è stato un flop: nemmeno il 10%. I politici non mancano.

Belisario si fa intervistare sotto i vessilli di Italia dei Valori. Sinistra e libertà c¹è per la sua gran parte tra militanti e volti noti: fanno capannello Petrone, Romaniello e Pesacane. C’è pure il segretario del Pdci. La sinistra è unita al fianco dei lavoratori sfruttati dai «maggiordomi di Marchionne», non per questo va d’accordo. Ma almeno è presente. Pesa come un macigno l’assenza del Pd: nel piazzale non se ne vede uno, nemmeno per sbaglio. Ci sono invece gli studenti Unibas e giovani dei movimenti a dire basta. Gli slogan, così come la musica in
sottofondo, sanno un po’ dei tempi in cui nessuno si sarebbe mai sognato di dire: «Se vi va bene è questo, sennò chiudo». La parola «ricatto» risuona come un mantra, quasi a convincersi che la linea dell’intransigenza è l¹unica percorribile.

Anche il rappresentante della Cgil nazionale Francesco Martini ci va giù pesante: «Teniamo insieme questo sindacato – dice tra i musi lunghi – E’ ovvio che se il governo e i padroni andranno avanti su questa linea si andrà verso lo sciopero generale. Ma facciamo uscire la Cgil unita». Fosse facile. Qualche delegato aziendale si cuce la bocca e rinuncia a intervenire per evitare di dire cosa ne pensa realmente del profilo basso della Cgil. Si punta all’unità, ma gli attriti sono evidenti. E’ la parola sciopero quella che l¹uditorio vuole sentire, per capirlo basta leggere anche solo uno delle decine di volantini che vengono fatti girare di mano in mano. Quando però la Cgil sembra essersi avvicinata al clima della piazza, ecco che però la Fiom continua ad alzare i toni: «Marchionne è un personaggio eversivo» tuona Sabina Petucci, delegata nazionale dell’area
più oltranzista. Del resto come chiamare uno che «non rispetta la Costituzione, fa saltare i tavoli» e giustifica le perdite di mercato con l’assenteismo dei lavoratori. «Quale piano di sviluppo ha in mente l’azienda?», continua la sindacalista. La risposta si legge agevolmente sui giornali, dove intanto è uscita la notizia che il ‘capo’ ha intenzione di comprare il 51% della Chrysler. Resta da capire cosa cambierà a Melfi nel momento in cui l¹accordo di Mirafiori si riverserà anche sullo stabilimento lucano. «La verità è che qui non hanno capito ancora che la cancellazione dei diritti sdoganata a Mirafiori toccherà anche questa fabbrica», si mormora ai piedi del furgoncino. «Si passa a 18 turni, ci toccherà lavorare 6 mesi senza pause, avremo 120 ore di straordinario obbligatorio e se da gennaio a giugno superiamo il 4% di assenteismo non ci pagheranno i primi giorni di malattia. E soprattutto «se ti iscrivi a un sindacato diverso ti metti contro i padroni».

Rosamaria Aquino

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