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PER risolvere un problema, nel nostro caso la crisi socio-economica, occorre vedere, se le condizioni che lo hanno creato sono ancora attive ed operanti.  Se permangono, diventa velleitario pensare di affrontarlo positivamente. È questo proprio il caso della Basilicata: tutti i fattori ostativi allo sviluppo che registriamo da lungo tempo, quali una politica senza visione del futuro, una burocrazia regionale, supportata dai tecnocrati di Bruxelles, con larghi spazi di inefficienza, settori protetti e poco competitivi nel pubblico  e nel privato, una spesa pubblica complessiva ( trasferimenti statali, fondi della Ue, royalties del petrolio)  finalizzata a creare consenso immediato, non certo a produrre effetti nel lungo periodo, non sono stati finora nemmeno scalfiti.

Per esemplificare ,la tanto decantata manovra di bilancio approvata in aprile, illustrata in ogni angolo della regione anche per ragioni di altra natura, ripete pedissequamente i passati provvedimenti in questione.

Il Governatore Pittella fa una analisi parziale quando rileva che la crisi regionale è “frutto di una crisi mondiale che arriva da lontano”. Non sa o fa finta di non sapere che la crisi economica fa il paio con quella sociale che è più grave della prima  ed è strutturale e dura da vari decenni.

In questo contesto di difesa strenua dello status quo,mi sia consentito avanzare tre proposte di riforma, nonostante attengano a temi molto compromessi dalle decisioni fin qui prese dalla Giunta regionale. Mi riferisco a riforme e non a azioni “rivoluzionarie. A tutto c’è rimedio, se si vuole realmente introdurre radicali interventi innovativi.

La prima concerne il metodo, nell’ottica einaudiano di conoscere prima di deliberare:  si avvii un’opera di monitoraggio e valutazione dei fondi comunitari, almeno in itinere( la frittata, purtroppo, è già stata fatta in partenza con i fondi 2014-2020);  si sa che quelli impiegati nel periodi 2017-2013 hanno prodotto risultati a dir poco fallimentari, continuare su questa strada, come dire, al buio, senza cioè coglierne le criticità  e senza poterle rimuovere, ci esporrà fatalmente a replicare gli errori del passato; a tale scopo si faccia un bando nazionale per individuare valutatori realmente indipendenti a cui rifarsi per rinnovare scelte e decisioni nell’impiego delle risorse, tema questo che non è solo quantitativo ,ma soprattutto qualitativo.

La seconda attiene alla organizzazione del personale regionale: averla sostanzialmente blindata, ricorrendo alla riconferma dei soliti noti col gioco dei quattro cantoni, con l’aggiunta di qualche nuovo dirigente, scelto sempre nel cerchio magico delle amicizie familiari del Governatore, costituisce un oggettivo ostacolo ad una politica di cambiamento, avendo la burocrazia regionale acquisito mentalità, comportamenti difficilmente sradicabili, in assenza peraltro di input politici coerenti. Si tratta di recuperare le eccellenze che ci sono  e raccordarle a nuove professionalità e competenze, di cui siamo  colpevolmente sprovvisti.

Quindi, in  tale materia si pongono due problemi:1°, un ceto politico che voglia mettere in discussione il suo ruolo, oggi statalista-regionalista e dirigista,da “socialismo reale”, per dirla tutta, rinunciando alla invasione impropria nella amministrazione,2°,  una nuova organizzazione, pronta  ad essere giudicata sui risultati conseguiti,  a cui sottoporsi per una riconferma sul posto di lavoro, secondo criteri meritocratici  e non di fedeltà ed appartenenza a questo o quel padrino politico. La strada da perseguire resta quella della valutazione “indipendente” del personale, attualmente soggetto a qualche commercialista locale, nominato dalla Giunta. Vale anche per questa cruciale riforma (lo sviluppo coincide con strutture organizzative efficienti ed efficaci) il metodo suggerito per  i fondi europei ( i temi sono connessi strettamente): un bando internazionale per scegliere una società di altamente specializzata  e non dipendente dalla politica.

Dulcis in fundo, la politica vera e propria . C’è un solo modo per spostare l’attenzione del ceto politico dal proprio tornaconto elettorale all’interesse generale: potere ricoprire l’incarico regionale massimo per due mandati, senza poter accedere successivamente ad altra rappresentanza istituzionale, è il modo più sicuro per non avere interesse ad organizzarsi truppe cammellate da utilizzare per la propria sopravvivenza , sfruttando i centri di spesa in una logica proprietaria.

Il politico faccia il civil servant, a tutti gli effetti, dedichi  a tempo determinato le sue competenze nella stanza dei bottoni e poi torni a fare il suo mestiere di provenienza.

Pensare che la politica si dia da sola tale regola è impossibile, ma contare su politici illuminati, alleati ad una consistente massa critica da mobilitare nella società, tramite i partiti, le forze sociali, il volontariato, mi sembra una sfida che possa essere raccolta.

 

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