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OGNI volta che, dal mare, intravedeva il profilo di una città, Biagio intuiva la metamorfosi. Dal mare, le città di porto sono tutte uguali. Bastava però superare la barriera delle banchine per essere invasi dalla ridda dei colori degli odori, degli sguardi. Il passo successivo, fermarsi a mangiare, in uno di quei posti senza pretese, che dopo ti sembrerà di essere sempre vissuto in quella città. I profumi, i colori scendevano a riscaldargli l’anima, e a lui sembrava che gli entrasse dentro la fatica dei fornai, le chiacchiere delle venditrici, i bagliori dell’accetta del macellaio, e il sudore dei contadini, il muggito degli armenti sotto la luna, il profumo dell’uva. Poi ripartivano a smistare merci: Biagio si stupiva sempre di tanta diversità, forse perché con il suo lavoro contribuiva a che ogni città assomigliasse alla copia sbiadita di un altro posto.
Quella volta, Biagio entrò, ordinò tre quarti di vino ed un piatto di “morzello”. Al primo boccone, il peperoncino piccante lo sferzò. In quel fuoco che gli consumava la lingua c’era l’arsura dei campi, il frinire delle cicale, il nero delle donne all’uscita dalla chiesa. Si versò un bicchiere, ed i suoi occhi incontrarono quelli di una donna.
Biagio era uomo di poche parole; quel bicchiere di vino gli aveva però fatto intravedere il profumo del fieno ed il crepitio delle stoppie, gli aveva sciolto la lingua e il desiderio. Guardava la donna, immaginando di assaporarne la morbidezza e gli umori, ed annegava nel vino l’arsura di lei.
La donna si accorse della ragnatela di sguardi, ne fu attratta fino a che si trovò seduta davanti a lui.
Passarono tanto tempo, a quel tavolo. Biagio ricorda soltanto che, a un tratto, gli era sembrato di sentire la sirena di una nave; ma, con una mano avvinta alla mano di lei, l’altra ancorata al bicchiere, come naufrago sbattuto dalle onde, non ci aveva proprio fatto caso.

OGNI volta che, dal mare, intravedeva il profilo di una città, Biagio intuiva la metamorfosi. Dal mare, le città di porto sono tutte uguali. Bastava però superare la barriera delle banchine per essere invasi dalla ridda dei colori degli odori, degli sguardi. Il passo successivo, fermarsi a mangiare, in uno di quei posti senza pretese, che dopo ti sembrerà di essere sempre vissuto in quella città. I profumi, i colori scendevano a riscaldargli l’anima, e a lui sembrava che gli entrasse dentro la fatica dei fornai, le chiacchiere delle venditrici, i bagliori dell’accetta del macellaio, e il sudore dei contadini, il muggito degli armenti sotto la luna, il profumo dell’uva. 

 

Poi ripartivano a smistare merci: Biagio si stupiva sempre di tanta diversità, forse perché con il suo lavoro contribuiva a che ogni città assomigliasse alla copia sbiadita di un altro posto.Quella volta, Biagio entrò, ordinò tre quarti di vino ed un piatto di “morzello”. Al primo boccone, il peperoncino piccante lo sferzò. In quel fuoco che gli consumava la lingua c’era l’arsura dei campi, il frinire delle cicale, il nero delle donne all’uscita dalla chiesa. Si versò un bicchiere, ed i suoi occhi incontrarono quelli di una donna.Biagio era uomo di poche parole; quel bicchiere di vino gli aveva però fatto intravedere il profumo del fieno ed il crepitio delle stoppie, gli aveva sciolto la lingua e il desiderio. Guardava la donna, immaginando di assaporarne la morbidezza e gli umori, ed annegava nel vino l’arsura di lei.

La donna si accorse della ragnatela di sguardi, ne fu attratta fino a che si trovò seduta davanti a lui. Passarono tanto tempo, a quel tavolo. Biagio ricorda soltanto che, a un tratto, gli era sembrato di sentire la sirena di una nave; ma, con una mano avvinta alla mano di lei, l’altra ancorata al bicchiere, come naufrago sbattuto dalle onde, non ci aveva proprio fatto caso.

(Pubblicato sull’edizione cartacea del Quotidiano del 22 novembre)

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