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GENZANO – «Ettori’ arrenditi, sono già morti». Gli gridavano così, ma lui non ne voleva sapere. In paese quel vecchio sciancato e attaccabrighe lo conoscevano tutti. Quando è arrivato l’allarme nella sala operativa dei carabinieri a Genzano era già buio. Qualcuno aveva assistito alla scena e si era precipitato verso il corso principale tra le famiglie impegnate negli ultimi acquisti di Natale. In pochi coraggiosi si erano fatti avanti attraverso le modeste palazzine a due piani di via Vulture e dintorni per capire che cosa stesse succedendo. E a questo punto è partita la prima telefonata al 112.
«Non vi immischiate o uccido pure voi». Chi lo ha visto, soprattutto tra i vicini, è ancora scosso. A distanza di due giorni racconta che sembrava un indemoniato. Il pensionato di 77 anni autore della strage della vigilia, Ettore Bruscella, continuava a trascinarsi quella gamba offesa avanti e indietro, misurando l’incrocio con via Verdi sotto la luce giallognola dei lampioni. «In mano aveva ancora il fucile da caccia e dalla tasca gli usciva una scatola con le cartucce». 12 millimetri a pallettoni: le stesse usate per i cinghiali. A terra, in mezzo alla strada, il corpo di Ninetta Di Palma, 55 anni, e pochi metri più in là, dietro l’auto dove avevano cercato riparo, i due figli Matteo, 27, e Maria Donata Menchise, 31.
Con la minaccia di aprire il fuoco Bruscella avrebbe tenuto a distanza i soccorritori. «Soltanto al suono delle sirene dei carabinieri si è tranquillizzato». Racconta un ragazzo che era presente. «Forse temeva il linciaggio da parte della folla».
«Ettori’, metti il fucile a terra e sdraiati a pancia in giù». Persino i militari lo avrebbero chiamato per nome. In paese quel vecchio sciancato e attaccabrighe lo conoscevano davvero tutti. «Voleva avere sempre l’ultima parola». Una signora spiega che era in lite anche con i proprietari delle terre confinanti con la sua, dove coltivava un po’ di vigna e un orto per sè e la sua famiglia. «Non si parlava con nessuno».
Bruscella ha ubbidito ai militari scesi dalle auto che gli hanno subito puntato le pistole addosso. Appena gli hanno messo le manette ai polsi sono scattati gli infermieri del 118, ma era troppo tardi. Solo Nardino era ancora vivo, il capofamiglia, nascosto in casa di un vicino con una brutta ferita alla gamba. «Luigi – il figlio più grande – era in un bar del corso quando è iniziata la strage». Racconta un altro dei testimoni presenti. «Si è avvicinato ma ha capito subito che non c’era nulla da fare, ed è rimasto a distanza aspettando i rinforzi. Altrimenti avrebbe fatto la stessa fine».
Tutto sarebbe durato all’incirca venti minuti. Tanto è bastato per distruggere una famiglia.

Leo Amato

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