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REGGIO CALABRIA – Ha denunciato, fatto arrestare e poi condannare il boss di una delle cosche più potenti di Reggio Calabria, Pasquale Libri, ma adesso ha dovuto chiudere l’azienda in quanto la Prefettura ha emesso un’interdittiva antimafia perdendo le commesse pubbliche ottenute in gare d’appalto bandite in varie regioni. Una interdittiva, spiega l’imprenditore reggino Andrea Cutrupi, basata su una vecchia inchiesta giudiziaria dalla quale è stato completamente assolto. 

Dopo quattro “incontri” con gli emissari di Libri (Claudio Bianchetti e Antonino Sinicropi), Cutrupi deciderà di denunciare le richieste estorsive, che sarebbero state seguite anche da un’intimidazione su un cantiere e una lettera di minacce. Proprio Cutrupi che, nel periodo in cui opererà con la ditta Cofor della famiglia Guarnaccia, conoscerà anche il carcere con l’arresto nell’operazione “Arca”. Un procedimento da cui Cutrupi, comunque, uscirà con l’assoluzione piena sia in primo grado che in appello. Ma proprio quei sei mesi nel carcere di San Pietro gli daranno la possibilità di conoscere alcuni soggetti di grande peso all’interno della ‘ndrangheta reggina: dall’imprenditore Matteo Alampi, a Carmelo Iamonte, di Melito Porto Salvo, fino a Nino Caridi, genero del defunto boss Domenico Libri.

«La nostra azienda – afferma in una nota la figlia dell’imprenditore, Menia, socia della Ffc costruzioni di qualità – è stata vittima di una richiesta di estorsione, la mia famiglia ha subito forti minacce, ma nonostante tutto ha deciso di ribellarsi alla ‘ndrangheta denunciando gli estorsori che sono finiti in carcere. Ma lo stato invece di tutelarci ha preferito ‘marchiarci’ con un’interdittiva antimafia basata su un processo riguardante mio padre, dal quale è risultato assolto in tutti i gradi di giudizio. Ancora una volta l’ingiustizia si accanisce contro le persone oneste».

Interdittiva, dice la donna, che ha portato alla perdita di commesse per 5 milioni di euro. «Abbiamo fatto ricorso al Tar e al Consiglio di Stato – prosegue – ma senza esito. Abbiamo chiesto già quattro volte alla Prefettura di rivedere la nostra posizione, ma non abbiamo avuto risposte».

«Questo – prosegue la donna – per me rappresenta una profonda sconfitta, come madre che ha deciso di “creare futuro”, come figlia orgogliosa di un padre che, contro tutto e tutti, non ha mai smesso di essere una persona onesta, come socia e dipendente di un’azienda che dopo ad aver denunciato la ‘ndrangheta si trova costretta a dover licenziare 30 persone. E come donna calabrese che si batte ogni giorno per creare qualcosa di bello, di innovativo e di pulito in questa terra che viene sporcata con disonestà e squallore».

«Allora – conclude Menia Cutrupi – chiedo a gran voce: come si combatte la ‘ndrangheta? Vorrei una risposta in un Paese in cui la legalità sembra combattersi solo a parole».

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