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di SALVATORE MAGARÒ*

Nelle organizzazioni mafiose la donna ha sempre svolto un ruolo importante anche quando è vissuta ai margini dell’attività criminale. Vi è sempre stata una “centralità sommersa” che ha consacrato la donna ad elemento indispensabile e insostituibile.
In origine e per molto tempo sono state custodi dell’omertà e dell’indiscussa supremazia dell’uomo. Sono state e sono tutt’ora, lo strumento di rafforzamento delle cosche, attraverso strategie matrimoniali e alle donne, mogli e madri, è affidato il compito di trasmettere i disvalori della mafia alle giovani generazioni.
Le donne di mafia hanno infranto il tabù della morte e la cultura della vita connessa alla loro stessa natura di madri è stata fagocitata dai codici d’onore e dai rituali di sangue.
Nell’evoluzione dell’organizzazione mafiosa abbiamo assistito ad una “emancipazione” della figura femminile al contrario: abili fiancheggiatrici sono divenute a volte determinanti nell’organizzazione, fino ad essere esse stesse capi, in assenza dei boss.
Per fortuna qualcosa sta cambiando anche nelle donne di mafia. Giuseppina Pesce, Lea Garofalo e Maria Concetta Cacciola e altre prima di loro, hanno squarciato il silenzio, hanno infranto il muro di omertà e paura perché era troppo profondo il dolore della loro condizione e insopportabile l’angoscia del futuro. Dedicare l’otto marzo a tre donne che hanno pagato anche con la vita la scelta di libertà è opportuno e perfino doveroso, in una terra che ha il prioritario bisogno di riscattarsi dal dominio della ‘ndrangheta e sconfiggere la cultura mafiosa, diffusa e radicata.
Come presidente della Commissione regionale contro la ‘ndrangheta, quindi, non posso non accogliere attivamente l’invito del direttore del Quotidiano, Matteo Cosenza, ma l’augurio è che tutte le donne calabresi possano sentire l’esigenza di impegnarsi quotidianamente con i propri figli e nipoti a costruire una cultura della legalità che diventi prassi quotidiana antimafia. Perché ciascuno di noi ha il dovere di squarciare il muro del silenzio, soprattutto quello nascosto nelle mura domestiche, affinché donne coraggio come Lea Garofano, Giseppina Pesce e Maria Concetta Cacciola non debbano morire di acido. Chissà che, così facendo, non si possa presto dedicare un otto marzo a tutte le donne ancora in vita, le uniche in grado di ristabilire la priorità della vita.

*presidente Commissione contro la ‘ndrangheta
consiglio regionale della Calabria

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