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STIAMO attraversando la più grave crisi  dal secondo dopoguerra e ci troviamo di fronte ad “almeno” 5  pesanti macigni, lanciati negli ultimi tre anni dalla politica nello stagno regionale, che possono riassumersi nel modo seguente:

1) L’agibilità della Giunta e del Consiglio regionale attualmente in carica.

2) La legittimità democratica delle due suddette istituzioni.

3) Il degrado del sistema dei partiti regionali.

4) La gravissima crisi socio-economica regionale.

5) La reiterazione delle politiche  e della organizzazione del passato.

Circa il primo punto, va osservato che Giunta e Consiglio regionale si portano dietro un pesante fardello di natura morale, giuridica e giudiziaria di un quadruplice ordine e cioè il rinvio a giudizio del presidente della giunta regionale e di una pattuglia di consiglieri regionali, a seguito dello scandalo di rimborsopoli, il conflitto di interessi che scaturisce dall’essersi la giunta costituita parte civile nel precedente scandalo contro componenti che investono alcuni componenti della stessa giunta e del Consiglio, l’approvazione del Consiglio regionale di una leggina (la n.2 del 2014) che mira a tutelare i consiglieri regionali da eventuali condanne,  sostenendo la sussistenza della incompatibilità  a seguito di sentenza passata in giudicato, il ricorso alla Corte costituzionale per conflitto di attribuzione su controllo della Corte dei Conti sui rendiconti dei Gruppi consiliari per l’esercizio 2013.

Con tali atti e situazioni  i soggetti interessati dimostrano di avere scarso senso delle istituzioni che rappresentano, di non rendersi conto della scarsa credibilità di cui godono le regioni dappertutto, e di porsi plasticamente come casta che non accetta intromissioni di qualsiasi genere.  Grave è la blindatura dei soggetti interessati attuata con la legge n.2/2014. In Basilicata siamo andati oltre il concetto che pone la responsabilità politica prima della formula del “nulla di rilevante penalmente”. Il Consiglio, pur avanti a qualcosa di rilevante penalmente già acclarato con una prima sentenza di primo grado reagisce cancellando la responsabilità politica, il rispetto dell’etica pubblica e soprattutto di onore previsto nell’art, 54 della Costituzione.

La responsabilità politica, per dirla con Stefano Rodotà, deve scattare per il solo fatto di essersi comportati in maniera contrastante con la correttezza legata all’esercizio di una carica, al maneggio di denaro pubblico.

C’è una domanda latente, come vedremo fra un attimo, di tenere insieme politica, legalità e moralità  e c’è una offerta politica che non si pone problemi di legittimità sociale e morale, ma difende senza ritegno palesi interessi corporativi. La legittimità democratica (secondo macigno) ha subito sforamenti preoccupanti nelle ultime tre tornate elettorali: nelle recenti elezioni regionali, in quelle europee e al comune di Potenza la stragrande maggioranza degli aventi diritto al voto ha lanciato chiari segnali contro il sistema dei partito tradizionali, astenendosi dal voto, votando in bianco o annullando la scheda o votando con i piedi, ossia emigrando. C’è poco da sbandierare vittoria avanti allo scenario suddetto: le rappresentanze uscite dal voto sono modeste minoranze che in altri consessi (vedi i piccoli comuni, piuttosto che un condominio) non avrebbero modo di essere legittimate. Le maggioranze bulgare avute in passato ce le possiamo scordare.  Sul degrado dei partiti, si potrebbe sparare sulla croce rossa: siamo avanti a pura lotta di potere, in particolare a sconcertanti regolamenti di conti all’interno del Pd lucano.

Non si è capaci di interpretare e affrontare la crisi economica (quarto punto). La manovra finanziaria approvata di recente, la replica delle solite liste della spesa nei fondi disponibili (risorse comunitarie o royalties del petrolio che siano) sono il segno di una incapacità di avere idee nuove su come uscire dalla recessione. Certo che per uscire dalla crisi occorre stimolare un  maggiore ruolo pubblico (Keynes), ma occorre riflettere su quello finora esercitato, sulle sue grave insufficienze, perché non è vero che non c’è stato ruolo, c’è stato, eccome, ma è servito per costruire istituzioni estrattive, popolate di saprofiti più che di leader capaci di motivare  la società verso lo sviluppo.

La conferma acritica dell’apparato burocratico (quinto macigno) è coerente con quanto detto prima, è l’ennesimo  chiaro incontrovertibile esempio della continuità della politica praticata finora, nonostante i fallimenti finora registrati, ma utili alla classe politica che si muove in base alla regola aurea: raggiungimento del fine proprio con i mezzi degli altri.

Per rimuovere tali ostacoli, si ha bisogno di pesi e contrappesi: la pervasività della politica ha generato pesanti pesi in termini di deficit in democrazia, in economia e più in generale nel sociale, i contrappesi li stiamo aspettando dalla società civile, da partiti capaci di autoriformarsi, non augurandoci certo che la sola via giudiziaria risolva i problemi.  

 

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