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COSENZA – Proseguono anche oggi i racconti dei naufraghi della Concordia al processo di Grosseto sul disastro del Giglio. Un passeggero, Walter Cosentini, di Cosenza, ha reso una testimonianza drammatica delle ore passate a bordo dopo l’urto contro gli scogli, prima di riuscire a salvare la sua famiglia, la moglie e due bimbi di 10 e 4 anni. Nel naufragio, ha detto, «ebbi sempre un pensiero fisso: se stavo facendo tutto quello che potevo per salvare la mia famiglia». Altra testimonianza drammatica è stata quella di una donna, anch’ella di Cosenza, Debora Incutti, che ha raccontato la ressa di quei terribili momenti.

Il teste ha riferito episodi drammatici come quando, mentre la nave si inclinava sempre di più, «solo facendomi forza, ho protetto mia figlia di quattro anni e mezzo mentre rischiavo di schiacciarla sotto la pressione della calca, temetti di ucciderla. La gente ci chiedeva scusa, ma la massa ci veniva addosso involontariamente», poi «ho dato mia figlia a uno, che era sopra di noi, ma con mia moglie la perdemmo di vista. Mia moglie strisciando andò a cercarla, si tagliò tutta la schiena, ma la ritrovò». «La nave inclinava di più, e piano piano iniziammo a scivolare, raggiungemmo la parete-vetrata, diventata pavimento», ha ricordato ancora. 
Ad un certo punto «mia moglie ebbe un attacco di panico, con le mani si tappò occhi e orecchie: “Non voglio vedere, non voglio sentire la gente che urla” e poi diceva “La colpa è mia, perché io ho voluto questa crociera…”». 
Nella calca, Walter Cosentini, ha ricordato di quando «un uomo mi venne addosso, e persi una lentina. Io ho problemi di vista importanti, così a mia moglie dissi “Se perdo l’altra lente, lasciatemi qui, perché non posso esservi d’aiuto”». 
Verso le 2-2.15 «arrivammo presso una biscaggina ma alcuni disabili non potevano raggiungerla per scendere». «La gente chiamava casa dicendo che cosa succedeva. Chiamai mio fratello a casa. ‘Stiamo affondandò, gli dicevo, ma non ci credevano». Tra i naufraghi «si diceva anche “Qui moriamo, facciamo la fine del Titanic”». 
«Salimmo su una lancia di salvataggio. Mia moglie vomitò, poi al Giglio ha avuto un collasso. I bambini non volevano prendere il traghetto per andare a Santo Stefano».
In aula, anche la cosentina Debora Incuti, dunque, che ha ricordato: «Andai a prendere i giubbotti salvagente e ci trovai una rissa. Anch’io mentre mi avvicinavo venni tirata indietro per i capelli» da chi mi voleva passare avanti. «Erano scene da film» e quando «andammo alle scialuppe, c’erano altri passeggeri che tiravano pugni per salire sopra». 
La donna più volte si è interrotta piangendo. Nel suo ricordo anche il momento difficile di quando «presi la decisione di affidare la mia bambina a un filippino dell’equipaggio perché la portasse via su una scialuppa. Misi in una tasca della bimba la carta d’identità affinché, quando avesse raggiunto terra, potessero eventualmente identificarla». Poi comunque la passeggera sbarcò con la bimba al Giglio e vennero accolte come altri naufraghi dalla popolazione. A distanza di due anni «ancora – ha testimoniato il marito Vincenzo Barbieri – a casa ci svegliamo la notte di colpo, non riusciamo a dormire, anche le bambine hanno paura, nella nostra casa non si dorme più». La famiglia è in cura da psicologi, così come altri passeggeri che non riescono a superare i momenti terribili del naufragio.
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