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MI rallegro molto che gli studenti “maturati” del Sud abbiano mediamente volti più alti rispetto agli studenti del Nord. Qualcuno imputa questa divaricazione geografia alla maggiore indulgenza, per non dire superficialità, dei professori del Sud. Ma è un tema poco appassionante, che rischia, per l’ennesima volta, di creare i soliti cori e le solite fazioni ideologiche. Ritengo però necessario, per quel che può valere, un mio accorato appello affinché i giovani meridionali – e, ovviamente, lucani – continuino su questa strada, ovvero sulla strada dello studio appassionato e rigoroso. Perché dico questo? Perché ultimamente ho notato un certo sconforto e una certa sfiducia, soprattutto nelle fasce sociali meno abbienti e più in difficoltà, rispetto all’utilità di “continuare gli studi” universitari, troppo costosi e non immediatamente “produttivi”. Questo atteggiamento va assolutamente combattuto e contrastato, perché il rischio è che si possa di nuovo creare una “questione di classe”, ovvero una differenza strutturale nelle opportunità (che il nostro sistema sociale assai avanzato aveva mitigato dal dopoguerra in poi) tra i figli dei ricchi e i figli dei poveri.

Qualche giorno fa un caro amico mi ha fatto visionare su Facebook l’album fotografico del figlio di una importante “dinastia” lucana: studi all’estero, viaggi in tutto il mondo, vacanza dorate, facilità nell’accesso a sedi universitarie e lavorative di pregio. Tutto questo non mi indigna, ma a una condizione: che non si stia determinando nuovamente una situazione per cui le classi dirigenti sono automaticamente “figlie” delle stesse, partorite all’interno di un circuito chiuso ed esclusivo. Questa sarebbe una grave retrocessione sociale, una moderna riedizione del feudalesimo 2.0.

Spesso i giovani figli di poveri o di persone “umili” (o subalterne, come si diceva un tempo) vivono con rabbia la propria condizione di difficoltà, ragion per cui tendono a isolarsi, a sfiduciarsi, ad abbandonarsi a soluzioni suicide come l’antipolitica, il rancore, il vittimismo, il lamento cupo e pessimista. Dando così pieni poteri a quanti, figli di una solida serenità economica e famigliare, hanno tutto l’interesse a non avere “competitori” sul loro cammino. I giovani talenti, invece, devono impegnarsi di più per essere tenaci, rigorosi negli studi, pazienti nel costruire strategie e alleanze, ostinati nell’entrare in tutti i meccanismi lavorativi e politici a cui ambiscono, perché a dirigere questo Paese non devono essere i “figli di”, ma i migliori, da qualunque condizione sociale di partenza essi provengano.

Vedo che molti giovani, anche lucani, spendono molti soldi in alcolici, abiti firmati, vacanze e droghe, pensando così di “imitare” i ricchi e i potenti. Noi adulti dobbiamo fargli capire – anche brutalmente, perché no? – che questo “trucco” va a loro discapito, perché i figli dei ricchi hanno le “spalle coperte”, mentre loro no, e prima o poi si sveglieranno con un pugno di mosche in mano, rammaricandosi di non aver lottato per un futuro migliore, e di non aver speso i loro soldi in giornali, libri, mostre, studi proficui.
Non si tratta di additare ideologicamente un nuovo tipo di “mostro borghese”, ma di fare di tutto affinché i giovani figli di poveri capiscano che solo studiando, lavorando e migliorandosi potranno evitare una riedizione subdola del feudalesimo, che non solo offende il principio di equità e di giustizia sociale, ma depaupera il nostro Paese di “menti” necessarie, troppo spesso “suicidate” dalla rabbia, dalla sfiducia, dalla resa, dalla pigrizia, dall’antipolitica e da un’idea puerile e ingenua del potere, perché il potere non è “sangue e merda” come vogliono farci credere i potenti e i figli dei potenti, ma responsabilità, serietà e possibilità di fare cose buone, belle e utili per gli altri.

Anche il figlio di un disoccupato o di un delinquente può diventare Presidente di Regione, Direttore di un giornale o un Primario. Mi piacerebbe molto che i giovani lo capissero fino in fondo, affinché nessuno debba più presentarsi alle porte dei potenti “bussando con i piedi”.

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