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SI SCRIVE Total Mineraria spa ma si legge Eni con tutto quello che ne
consegue. Questo, almeno, è quello che sostengono i francesi, dopo che si
sono visti recapitare l’avviso dell’Ufficio prevenzione e controllo
ambientale della Regione Basilicata, lo scorso 28 aprile, che ha dato il
via alle procedure per la bonifica dei terreni di Serra d’Eboli a Corleto
Perticara. Total esplorazione & produzione Italia spa era indicata come il
soggetto responsabile e in applicazione del principio “chi inquina paga” si
sarebbe dovuta accollare le spese necessarie per le operazioni di
ripristino ambientale. Dagli atti trasmessi dalla Procura della Repubblica
di Potenza era emerso infatti che la ditta che nel 1990 aveva chiesto alla
Regione le autorizzazioni per la realizzazione di una discarica temporanea
di fanghi di perforazione, affittando anche i terreni necessari, era stata
la Total mineraria spa. Dato che oggigiorno Total esplorazione & produzione
Italia spa risulta titolare della quota di maggioranza della concessione
per le estrazioni di petrolio nella zona, denominata “Concessione
Gorgoglione”, spedire a loro le comunicazioni di rito dev’essere stato il
primo pensiero dei funzionari di via Anzio. Ma i francesi hanno risposto a
stretto giro proclamandosi estranei all’accaduto. A sostegno della loro
“innocenza” c’è un complesso giro societario che i legali della
multinazionale d’oltralpe hanno spiegato in una paginetta striminzita.
In sostanza qualche giorno prima della fine dei lavori di perforazione del
pozzo “Tempa Rossa2”, a luglio del 1991, la Total mineraria spa sarebbe
stata ceduta dalla capofila alla Lasmo mineraria spa, omonima ma «distinta
e autonoma» dalla britannica Lasmo Italia sud, all’epoca titolare del 40%
della concessione Gorgoglione (il restante 33,3% era di Enterprise oil
exploration mentre Fina Italiana ne possedeva il 26,6%). Lasmo mineraria
spa sarebbe stata messa in liquidazione nel 1999, quindi nel 2001 la
fusione con Singea spa «società oggetto di controllo totalitario da parte
del gruppo Eni». Sempre in quegli anni, a dicembre del 2000, anche la Lasmo
Italia sud sarebbe entrata nell’orbita del gruppo del cane a sei zampe,
un’operazione da 2.690 milioni di sterline, circa 9mila miliardi della
vecchie lire. Insomma è il caso di dire che come la si giri e come la si
volti alla fine c’è sempre l’Eni. Resta solo da capire se assieme alle
riserve certe per 830 milioni di barili di petrolio a fine ‘99, i pozzi nel
Mare del Nord inglese, nel Nord Africa, in Indonesia, in Venezuela e in
Pakistan – oltre al 40% della concessione “Gorgoglione” – nel patrimonio
ereditato dalla società dell’ad Paolo Scaroni vada conteggiato anche quel
lascito nascosto nei campi di Corleto Perticara.
«Dal luglio 1991 – scrivono ancora i legali della multinazionale francese
– al novembre 1999, quando il gruppo Total ha provveduto a incorporare il
gruppo Petrofina, nè il gruppo Total nè tanto meno la scrivente Total
esplorazione & produzione Italia spa hanno mai detenuto, direttamente o
indirettamente, nè quote del permesso di ricerca “Torrente Sauro” nè della
concessione Gorgoglione».
Per farla breve: o si dimostra con certezza che quegli scarichi abusivi di
fanghi pericolosi sono avvenuti prima del luglio del 1991, o i soldi ce li
mette Eni perchè oltre quella data e per più di dieci anni i francesi sono
rimasti fuori dai progetti di estrazioni in Basilicata. Total si dichiara
«estranea ai fatti contestati sia per non aver posto in essere i fatti da
cui sarebbe originata la responsabilità, sia per non essere succeduta nelle
eventuali responsabilità di chi li ha posti in essere».

Leo Amato

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