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di FRANCO MATTIA*

QUELL’interrogativo di Andrea Di Consoli alla vigilia dell’incontro di Matera sull’emigrazione intellettuale (310528«Eccessiva scolarizzazione o c’è qualcos’altro che non va?»), che è parte integrante di tutto il positivo lavoro de Il Quotidiano della Basilicata sui talenti lucani 30enni, diciamolo francamente non ha trovato risposta. Forse qualcuno si era eccessivamente illuso di trovare dall’ennesimo incontro di Matera almeno qualche idea innovativa o uno straccio di proposta su come uscire dalla crisi occupazionale che determina la fuga dei cervelli, autentica emergenza sociale per tutto il Mezzogiorno (su questo diamo ragione al presidente De Filippo).
Dobbiamo, invece, registrare che non c’è nulla di nuovo, che si persevera lungo la strada tracciata dalla precedente legislatura, quindi da sette-otto anni, che è quella di continuare a finanziare attività e corsi slegati completamente dalle richieste del mercato del lavoro e a foraggiare il business degli enti di formatori piuttosto che pensare al destino dei formati. E non è di alcuna utilità sapere, senza compiere alcuna valutazione tra spesa e risultati, che anche alla fine di quest’anno sarà possibile impegnare (ma non spendere) tutto il fondo finanziario annuale previsto dal P.o. Fse 2007-2013.
Procedendo per sintesi e per ordine di ragionamento, è unanimemente riconosciuto il calo di iscrizione di alunni negli istituti professionali e con esso la conseguente difficoltà delle piccole e medie imprese a reperire manodopera diplomata con specifiche specializzazioni tecniche. Tra i paradossi tutti italiani sul fronte dell’istruzione e della formazione che prepara al lavoro, si registra per l’anno scolastico in corso un aumento del 3 per cento degli iscritti ai licei ed una diminuzione del 3,4 per cento degli iscritti agli istituti professionali.
Nel frattempo le imprese italiane, nonostante la crisi, denunciano la difficoltà a reperire il 17,2 per cento della manodopera necessaria. Se, dunque, come sostengono organizzazioni imprenditoriali – da Confindustria a Confartigianato – una strada per facilitare l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro è quella dall’apprendistato, la novità più rilevante è l’approvazione, la scorsa estate, da parte del Consiglio dei ministri del testo che regolamenta il contratto di apprendistato (che ritroviamo nella lettera di impegni del Governo italiano all’Ue), in quanto ritenuto il principale canale di ingresso dei giovani nel mondo del lavoro. Con tale provvedimento si è cercato di garantire una maggiore agibilità dello strumento, sia per i lavoratori che per le imprese che potranno valutare meglio l’operato dei propri futuri dipendenti, grazie anche ad una drastica semplificazione della materia che diviene omogenea sull’intero territorio nazionale. Tra le novità ci sarà l’estensione dell’apprendistato di alta formazione, utilizzabile ora anche ai fini del praticantato e per la selezione di giovani ricercatori da inserire in impresa. Di fondamentale importanza, inoltre, per contrastare la dispersione scolastica e avviare un riallineamento tra la domanda e l’offerta di lavoro è stato rilanciato l’apprendistato di primo livello che diviene ora utilizzabile non solo per i minorenni ma anche per gli under 25, con la possibilità di conseguire in ambiente di lavoro, sulla falsariga del modello duale tedesco, una qualifica triennale o un diploma professionale quadriennale rilasciati dalle Regioni.
Sono però le politiche della formazione regionale a risultare ampiamente inadeguate per non dire fallimentari. Basti pensare all’esperienza del Reddito Ponte che da settimane vede i giovani coinvolti fortemente delusi della propria esperienza e fare riferimento al Programma Work Experience di cui non si conoscono i motivi veri dei ritardi e degli ostacoli per la partenza e basti stendere un velo pietoso di silenzio sui tirocini formativi presso le Pubbliche Amministrazioni “abortiti” dopo mesi di studi, ricerche e dibattiti con 13mila giovani anch’essi illusi.
Spetta adesso alla Regione e nello specifico al Dipartimento Formazione-Lavoro specie dopo la firma del Patto di sistema con sindacati e Confindustria finalizzato al lavoro e alla crescita produttiva adeguare le politiche di formazione.
E’ questo l’ “altro che non va” a cui Di Consoli chiedeva una risposta. Una risposta dovuta senza far ricorso all’ennesima lezione teorica venuta dal presidente De Filippo per illustrare una strategia che non c’è.
Vorrei ricordare a quanti l’hanno già dimenticata la tesi de “L’Economist”: il «talento e il merito contano poco per avere un posto di lavoro in Italia», motivo per cui «i laureati italiani non vedono l’ora di emigrare». Il giornale inglese mette il dito nella piaga: l’accesso al lavoro dipende da legami familiari, clientele politiche e raccomandazioni. Un «modo italiano di fare le cose» che genera «frustrazione» tra i giovani più istruiti. E’ proprio quello che sta accadendo in Basilicata con la crescente sfiducia dei nostri laureati e diplomati. Ed è proprio la motivazione principale della nuova ondata di emigrazione intellettuale che non possiamo accettare e non accetteremo mai.

*Vicepresidente Consiglio regionale

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