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LA QUESTIONE dei mille euro lordi donati dalla Regione ai lavoratori dell’indotto di Viggiano continua a far discutere. Gianni Rosa non ci sta e alza gli scudi dopo l’attacco dei sindacati. «Arrivato tardi sulla questione? Ma che dicono, c’è una mia interrogazione datata 8 ottobre 2014». E poi la storia dei 12mila euro di stipendio mensile che «è una bugia, io guadagno 7mila 500 euro netti, come tutti i consiglieri». Sta di fatto che di mezzo c’è una storia che, prima di tradursi nel tanto discusso contributo ai lavoratori dell’indotto, attraversa diciassette anni di storia lucana.
Bisogna partire dall’accordo del 1998 sottoscritto dalla compagnia petrolifera e dalla Giunta all’epoca guidata da Raffaele Dinardo. In quel documento non si parla di royalties, ma di compensazioni ambientali. Si stabiliscono le linee guida da seguire sulle trivellazioni e si impone all’Eni di pagare miliardi di lire, oltre le royalties, per progetti di sviluppo e sostenibilità ambientale. Nell’accordo c’è di tutto, dalle borse di studio da finanziare, fino al supporto per il sistema di monitoraggio ambientale, ma anche «la realizzazione di programmi regionali destinati a promuovere lo sviluppo sostenibile». Solo questa voce è sostenuta da una base economica di 4 miliardi di lire in 10 anni da versare entro il 31 gennaio di ogni anno.
Questa è soltanto la “cornice” perché effettivamente per anni questo tesoretto regionale derivato dalle compensazioni ambientali non è stato possibile utilizzarlo. Quei soldi erano stati pignorati a causa di un arbitrato con la Icla costruzioni generali spa, azienda ormai fallita che si occupò di opere pubbliche in Basilicata. All’indomani del fallimento chiese gli indennizzi che le sarebbero spettati per non essere stata messa nelle condizioni di portare a termine le opere nonostante i mezzi e le risorse impiegate.
La cosa viene sottolineata in maniera chiara nella risposta all’interrogazione di Rosa, che chiedeva in che modo sarebbero stati spesi i soldi delle compensazioni, a quali annualità si riferiscono i 16 milioni di euro stanziati con una delibera di settembre 2014 (la numero 1038) e perché mai alcuni progetti finanziati «sembrano essere non conformi agli obiettivi precedentemente stabiliti dai protocolli di intesa tra Regione ed Eni». In pratica il consigliere di Fratelli d’Italia si è chiesto se quei soldi sarebbero stati utilizzati secondo gli scopi originari dell’accordo: monitoraggio ambientale, miglioramento e compensazione dell’impatto nelle aree di estrazione.
Nella risposta all’interrogazione viene specificato che le linee di intervento sono tre: «programmi regionali per lo sviluppo sostenibile per le annualità 2011-2014 per otto milioni 264mila euro; sistema di monitoraggio ambientale, annualità 2013-2014 per sei milioni 198mila euro e borse di studio finanziate con un milione 548mila euro derivanti dalle annualità dal 2008 al 2013». Tutto chiaro, se non fosse che «l’accordo (del 1998) rinvia l’erogazione delle somme da parte di Eni all’avvenuta approvazione del singolo progetto».
Ma perché tutto questo tempo? «nel corso del tempo – si legge – sono intervenute circostanze non legate alla diretta volontà delle medesime, come ad esempio, il procedimento di pignoramento degli importi dovuti alla Regione da parte di terzi». Dunque una prima disambiguazione: non si tratta di soldi Eni, ma di un tesoretto regionale costruito grazie agli accordi con i petrolieri specificatamente creato per le compensazioni ambientali.
E si arriva al 4 dicembre 2014. Mentre i sindacati portano avanti la lotta, legittima, sui lavoratori dell’indotto di Viggiano, spingendo per una equiparazione salariale tra chi lavora all’interno del centro oli e chi invece nelle aziende collegate, spunta la delibera di Giunta 1490 che dispone gli adempimenti su quei progetti.
L’Osservatorio Paritetico regionale, composto da Cgil, Cisl, Uil, Confindustria, Confapi, Alleanza delle Coperative, ed Imprese Italia viene indicato come «soggetto attuatore» del progetto: «Miglioramento della competitività del sistema produttivo nonché di quello occupazionale lucano, con particolare riguardo alla creazione di condizioni di contesto favorevoli alla valorizzazione ed alla salvaguardia della risorsa umana», costo toale: un milione 118mila e 600 euro. Ma come si finanzia? Lo dice la stessa delibera.
Nell’allegato è specificato il settore prevalente di intervento: «Sviluppo sostenibile», con riferimento al protocollo del 1998, articolo 3 comma due. Ma in quel comma si parlava di «realizzazione dei programmi destinati a promuovere lo sviluppo sostenibile» e non di compensazioni per i lavoratori.
Intanto Gianni Rosa insiste e ricorda gli operai della Vibac: «Anche loro lavoravano nella Val d’Agri, eppure non hanno più un impiego. E’ chiaro che con questa manovra Pittella cerca di chiudere il cerchio nell’area petrolifera per generare consenso».

v.panettieri@luedi.it

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