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QUANDO Renzi si chiamava Berlusconi al centrosinistra sembrava non piacere e non piacere affatto; per questo quel meno male che Matteo c’è”  orchestrato in giri armonici da plagio suona male, malissimo sulla bocca del Pd. Il linguaggio di Renzi non è gradevole, non lo sono le sue tante espressioni tronfie, non lo sono le battute con cui tenta di liquidare questioni di vitale importanza, non lo sono i suoi annunci da piattaro. Passo dopo passo; mille giorni; “Mille giorni di te e di me” come cantava Baglioni che però “.. e una storia va a puttane… – diceva – … finimmo prima che lui ci finisse… come la nostra prima scena, solo che andavamo via di schiena…” . E l’andare via di schiena può essere molto pericoloso, specialmente per chi crede di poter mettere di spalle al muro tutti gli altri solo perché sa (ma forse nemmeno ha da) comunicare.

Francamente al Mago do Nascimento toscano ed alle televendite urlate è preferibile chi, con un brutto carattere e la proverbite nostrana, autosospendendosi dal Partito democratico lancia un monito a molti suoi compagni (compagni si fa per dire ovviamente) e in primis al nostro Governatore che ai professionisti della tartina non ha di meglio da opporre che una rivoluzione burro e marmellata.

 “Si cum lu ciucc r’ picun, fort r’ garzal e debl r’ rin”: questa l’accusa implicita nella lettera di Folino che oggi ogni singolo esponente del Pd lucano dovrebbe sentire scagliata contro  se stesso non da uno solo ma dalla gran parte dei cittadini della Basilicata. Attendiamo, attendiamo – ci si diceva – non parliamo senza conoscere, siamo pronti a morire sul campo; l’annuncite, insomma, ha contagiato anche i democratici lucani e si è risolta in un armiamoci e partite, ma se non partite neanche voi è pure meglio.

Al Gladiatore, insomma, gli si è spuntata la spada; le truppe si sono iscritte a un corso di sofistica e il Segretario nuovo (nuovo anche questo per modo di dire) ha come unico cruccio quello di sollecitare il ritorno all’ovile per non correre il rischio (udite udite) di dividere il Pd lucano. A parte l’humor nero evidente, in tale preoccupazione sembra di scorgere un disprezzo per i sacrifici che questa terra ha fatto e continua a fare, una superficialità nel decodificare un gesto magari istrionico ma comunque di significato profondo, una sospetta attenzione a “ r’ garzal” ed una non volontà (non già incapacità) di difendere una popolazione spolpata a cui un dittatorello qualunque si rivolge con sufficienza dopo che i suoi sodali hanno elemosinato “qualche voto in più” anche dai “quattro comitatini”.

Bella prova! L’occasione oggi sarebbe quella di ammutinarsi tutti, di “stare vicino alla gente” ( tanto per citare lo slogan più gettonato di ogni campagna elettorale) e di dimostrare che forse votare Pd può ancora valere la pena; perché è una pena; una pena come le larghe intese che si prospettano al Comune ( e chi la molla pure là la poltrona appena conquistata!), come le cinciallegre che tweettano spensierate interpretazioni edulcorate ed appelli alla fedeltà. Ma la fedeltà è dei cani, agli uomini si addice la lealtà. E alle cinciallegre preferiamo i gufi. E anche quelli col brutto carattere.

 

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