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Il cane a sei zampe difende la scelta di fermare la produzione: «Non c’è alternativa per smaltire le acque in uscita dall’impianto». Confermate anche le ultime misure cautelari pendenti sul filone Centro oli. Grillo: «Scandalo da prima pagina»

di LEO AMATO
POTENZA – Restano ai domiciliari i 5 dirigenti del Centro oli dell’Eni di Viggiano accusati di traffico illecito di rifiuti nell’ambito dell’inchiesta dei pm di Potenza su petrolio e lobby.
Così ha deciso il Tribunale del riesame respingendo i ricorsi dei legali di Roberta Angelini, Vincenzo Lisandrelli, Antonio Cirelli, Luca Bagatti e Nicola Allegro.
Con la conferma delle misure cautelari adottate nei loro confronti alla compagnia del cane a sei zampe non resta che sperare nella Cassazione, anche per ottenere il dissequestro di alcune vasche e del pozzo di reiniezione Costa molina 2 dove venivano smaltiti i reflui di produzione dell’impianto di Viggiano.
Intanto la produzione, ferma dal 31 marzo, resterà bloccata, e andranno avanti le procedure di cassa integrazione per i dipendenti e di sospensione di tutti gli ordini di lavoro per le ditte fornitrici dell’indotto lucano.
Ieri da più parti sono arrivate critiche alle ultime decisioni di Eni, che hanno creato un profondo stato di preoccupazione in circa 2mila lavoratori. Ma la compagnia ha replicato spiegando che quanto compiuto è «un passo necessario ed obbligato» e non esiste «una soluzione alternativa, di tipo industriale, per poter continuare l’attività di produzione ed evitare la fermata degli impianti».
Eni sostiene che il perito della procura di Potenza non si sarebbe limitato «a riconfigurare il codice Cer delle acque in uscita in rifiuti pericolosi, come emerso nell’ambito delle ipotesi», ma avrebbe assegnato «un codice che riqualificherebbe una parte essenziale dell’impianto del Centro olio come impianto di trattamento rifiuto, e non come un impianto di produzione olio e gas (come in realtà è, coerentemente con quadro autorizzativo, normativo nazionale e internazionale), con la conseguenza di una necessaria reingegnerizzazione dello stesso, oltre che di un nuovo complesso e diverso iter autorizzativo dell’impianto nella nuova impostazione».
«Anche in tale assurdo caso teorico, stante l’impossibilità di re-iniettare l’acqua, la stessa – prosegue la compagnia – dovrebbe essere smaltita in discariche autorizzate previo trasporto con migliaia di autobotti, con un ingente impatto territoriale. Inoltre, per i volumi in questione, sarebbe impossibile mantenere la produzione attuale del centro».
Eni «ribadisce, come confermato da varie perizie tecniche esterne, che l’impianto del Centro Olio di Viggiano rispetta le best practice internazionali e il quadro normativo ed autorizzativo per impianti di quella natura industriale». E non intende cedere su questo punto, nonostante a poche decine di chilometri compagnie come Total adottino tecnologie che non prevedono la reiniezione dei reflui nel sottosuolo.
D’altro canto rassicura «di non avere in programma alcun intervento sulle attività e sul personale della raffineria di Taranto, in quanto le condizioni di mercato consentono l’approvvigionamento degli impianti».
Sull’inchiesta dei pm di Potenza su petrolio e lobby ieri è tornato a intervenire da suo blog anche Beppe Grillo.
«In Italia c’è una delle informazioni peggiori del mondo occidentale e non solo». Ha dichiarato il leader dei 5 Stelle. «I giornalisti in maggiore difficoltà sono quelli che parlano di corruzione e crimine organizzato: non è un caso che di Trivellopoli, nonostante coinvolga esponenti del governo e del Pd, si stia parlando pochissimo quando per l’enormità dello scandalo dovrebbe essere tutti i giorni in prima pagina e nei telegiornali».

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