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CATANZARO – A risparmiargli il carcere era stata la speranza della Procura di far tornare quei soldi pubblici – ben 500 mila euro -, sfilati dalle casse della Field, al loro posto. Ma, alla fine, ad incastrare l’ex presidente della “Fondazione innovazione emersione locale disegno del territorio”, Antonio Barile, è stata proprio la fideiussione completamente falsa posta a garanzia del Piano di restituzione del maltolto proposto alla Regione Calabria. Da qui la misura cautelare agli arresti domiciliari alla quale ieri lo hanno sottoposto i finanzieri del Comando provinciale di Catanzaro che, al comando del tenente colonnello Massimo Battaglino, lo hanno raggiunto nella sua abitazione cosentina con in mano l’ordinanza firmata dal gip Maria Rosaria De Girolamo. 

Contro di lui l’accusa di peculato che, in realtà, aveva indotto il sostituto procuratore, Paolo Petrolo, a sollecitare la misura più pesante del carcere già diversi mesi fa, come epilogo di uno scandalo scoppiato alla fine dello scorso anno con la scoperta del “buco” da parte del presidente del collegio dei revisori, Maurizio De Filippo. Da lì l’avvio degli accertamenti che hanno portato alla luce ben 51 assegni di cui ancora si sta seguendo il percorso, così come ha spiegato questa mattina il generale della Guardia di finanza, Antonio De Nisi, che ha affiancato il procuratore Vincenzo Lombardo nel corso di una conferenza stampa indetta proprio per illustrare i dettagli dell’operazione. Presente anche il comandante del Nucleo di polizia tributaria di Catanzaro, colonnello Antonio Palumbo, che si è soffermato sulle spese arbitrarie sostenute da Barile con i fondi pubblici non solo per motivi personali, ma anche per supportare le proprie attività imprenditoriali nel cosentino. Le indagini, infatti, hanno svelato come il conto corrente della Field, di cui Barile aveva la piena ed esclusiva disponibilità, sia servito per il pagamento di fornitori degli alberghi di proprietà dello stesso a Cosenza o, in altri casi, per il pagamento di quote di mutui personali. E lo stesso ex presidente della Fondazione, d’altra parte, aveva ammesso di aver messo le mani sui soldi in questione, “ma a prestito”, aveva anche ribadito più volte, tirando in ballo le difficoltà economiche in cui versava e tentando poi di proporre al commissario straordinario che nel frattempo gli era succeduto alla guida della Fondazione, un piano di restituzione dell’illecito “prestito” attraverso una fideiussione che, dopo gli opportuni accertamenti dei militari del nucleo di polizia tributaria, è risultata falsa. Chiuso il capitolo Barile, dunque, le indagini ora puntano a fare piena luce sulle altre somme impiegate dalla Field per pagare progetti, compensi ai suoi stessi amministratori ed un gran numero di viaggi, anche in Cina. Il sospetto degli investigatori, infatti, è che molte di queste spese siano state sostenute quanto meno arbitrariamente e con l’avallo dello stesso Barile.

Il procuratore Lombardo si è soffermato sullo sviluppo dell’inchiesta: “Tempestivamente abbiamo dato un imput al sostituto procuratore Petrolo, condividendone il percorso che inizialmente è stato morbido solo per tentare di rientrare nel capitale, per cui una eventuale detenzione avrebbe ostacolare la restituzione dei soldi”.  Secondo il generale De Nisi, “questi 500 mila euro dovevano essere dedicati all’interesse pubblico e invece le indagini tecniche ne hanno dimostrato un utilizzo prettamente personale”.
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