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POTENZA – Una riunione che è rimasta a lungo impelegata in pareri contrastanti tra i vari enti, richiami normativi differenti, scontri di competenze, tecnicismi e opinioni diverse sul sottilissimo limite tra tutela della salute pubblica e procurato allarme.

E che a certo punto si è fermata a un bivio, tra due limiti estremi: dichiarare la non potabilità dell’acqua, non solo di Tito, ma di tutti i comuni serviti dalla stessa fonte, o limitare il provvedimento alle sole abitazioni nelle quali le analisi dell’Arpab hanno ufficialmente confermato la presenza di idrocarburi.

E alla fine è prevalsa la via della precauzione e dei provvedimenti parziali: a non utilizzare l’acqua del rubinetto dovranno essere le sole due famiglie titesi, nelle cui abitazioni la contaminazione è stata accertata.

In attesa di ulteriori accertamenti che verranno condotti, per stabilire l’entità della contaminazione e circoscrivere il fenomeno.

Già da questa mattina il tavolo tecnico dovrà delineare tempi e modi del percorso. In particolare, l’ente gestore, ovvero Acquedotto lucano, dovrà mettersi al lavoro per allargare lo spettro delle indagini.

Non solo a Tito. Perché presunte contaminazioni delle acque di rubinetto da idrocarburi e metalli pesanti sono state denunciate – seppure ancora non confermate dall’Arpa – anche da alcuni privati cittadini di Rivello, Genzano e Maschito che si sono rivolte alle stesse associazioni ambientaliste che hanno fatto emergere il caso del comune alle porte di Potenza. Ancora è tutto da verificare. Ma è necessario fare in fretta.

E procedere il più speditamente possibile, è l’impegno che è arrivato ieri sera da parte di tutti gli organismi che hanno preso parte alla riunione convocata ieri d’urgenza dall’assessore alla Sanità, Flavia Franconi.

Chiusasi però tra molti dubbi rispetto ai possibili modi di affrontare l’emergenza.

E che ruota tutto intorno a una questione nodale: considerare la presenza di idrocarburi solo come un indizio di inquinamento su cui indagare ulteriormente prima di adottare provvedimenti con conseguenze molto pesanti, o come una contaminazione già conclamata rispetto alla quale non perdere ulteriore tempo.

Alla base della confusione anche la circostanza che le concentrazioni nelle acque di idrocarburi pesanti, considerati altamente cancerogeni, non sono regolate da legge.

O meglio, dei riferimenti normativi ci sono. Ma appartengono al passato e soprattutto sono in contrasto tra loro.

Da qui, le posizioni divergenti. Con il direttore generale di Acquedotto lucano, Gerardo Marotta, che considera le percentuali di idrocarburi riscontrati a un livello per così dire “tollerabile” rispetto ad alcuni riferimenti normativi, e il direttore del dipartimento Igiene dell’Asp, Antonio Romaniello che invece richiama   una circolare dell’Istituto superiore di sanità che nel 2003 indicava in trenta microgrammi per litro i valore massimo da non superare.

Le concentrazioni riscontrate dalle analisi presso le due abitazioni titesi sono comprese proprio tra i trenta e i quaranta microgrammi. Quindi, la decisione, «in via precauzionale», di dichiarare la non potabilità delle acque che sgorgano da quei rubinetti.

Con l’ovvio imbarazzo da parte del primo cittadino di Tito, Pasquale Scavone, che a partire da oggi dovrà spiegare agli abitanti delle due zone interessate, perché l’acqua dei vicini sia non potabile, mentre la loro sì.  E nella confusione dei pareri, con nessun ente disposto ad assumersi la responsabilità di una decisione così difficile, si è deciso di attendere un verdetto terzo. Quello dell’istituto superiore di Sanità, che sulla base dei dati a disposizione dovrà indicare la via.

 Al momento, l’unica cosa che appare più certa – così com’è emerso dalla riunione di ieri – è che la contaminazione delle acque sembra non avere nessun nesso nè con la ex discarica di Aia dei Monaci, né con i veleni dell’area industriale di Tito, visto che le sostanze in questione non appiano compatibili.

Ma su quali possano essere state la reali cause, ancora nessuna certezza, nonostante tutti gli enti coinvolti siano stati messe al corrente della situazione già dallo scorso 15 gennaio. E probabilmente, prima di capire cosa stia succendendo bisognerà ancora attendere.

m.labanca@luedi.it

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