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CATANZARO – Attualità politica, immigrazione, terrorismo internazionale, pedofilia, lotta alla criminalità organizzata. Monsignor Vincenzo Bertolone, arcivescovo di Catanzaro e a capo della Conferenza episcopale calabrese, esprime un giudizio a tutto campo sui principali accadimenti del 2015 e consegna il suo viatico ai calabresi per affrontare con il giusto piglio il nuovo anno. Più di 50 anni di vita consacrata sulle spalle, Bertolone – postulatore della causa di beatificazione di don Pino Puglisi – esorta i calabresi al coraggio ma anche alla felicità. Ecco l’intervista che ci ha rilasciato.

Monsignor Bertolone, quale il messaggio che la Chiesa calabrese intende trasferire come viatico per iniziare un nuovo anno?

«A ognuna delle diocesi di Calabria il proprio vescovo ha già indirizzato gli auguri, ma non può non esserci anche l’augurio della Conferenza episcopale calabra nel suo insieme. Penso di poter interpretare i sentimenti di tutti i confratelli vescovi nel formulare, perciò, gli auguri per il nuovo anno con le medesime parole del vescovo di Roma, papa Francesco: “Essere felici è trovare forza nel perdono, speranza nelle battaglie, sicurezza sul palcoscenico della paura, amore nei disaccordi. Essere felici non è solo apprezzare il sorriso, ma anche riflettere sulla tristezza. Non è solo celebrare i successi, ma apprendere lezioni dai fallimenti. Non è solo sentirsi allegri con gli applausi, ma essere allegri nell’anonimato. Essere felici è riconoscere che vale la pena vivere la vita, nonostante tutte le sfide, incomprensioni e periodi di crisi. Essere felici non è una fatalità del destino, ma una conquista per coloro che sono in grado viaggiare dentro il proprio essere. Essere felici è smettere di sentirsi vittima dei problemi e diventare attore della propria storia. È attraversare deserti fuori di sé, ma essere in grado di trovare un’oasi nei recessi della nostra anima. È ringraziare Dio ogni mattina per il miracolo della vita. Essere felici non è avere paura dei propri sentimenti”».

La parola d’ordine del 2016 è, dunque, felicità?

«Perché questo si avveri, c’è bisogno di darsi, di donarsi, uscendo dal proprio ego per andare a cercare l’altro. È tempo di aprirsi all’ascolto, allargando le braccia per accogliere i diversi, gli ultimi, gli emarginati, i meno fortunati, che poi sono molto più vicino di quanto immaginiamo: l’amico che ha perduto il lavoro, il conoscente seriamente ammalato, il parente col figlio in prigione. È la strada da imboccare perché qualcosa davvero e finalmente possa cambiare, perché venga il lavoro senza precarietà e la legalità cancelli una volta per tutte le piaghe della corruzione e della raccomandazione».

Le recenti classifiche sulla qualità della vita hanno relegato la Calabria ai bassifondi: quali considerazioni si sente di fare in merito?

«Incrociando i dati relativi al tenore di vita, servizi e ambiente, affari e lavoro, ordine pubblico, popolazione e tempo libero, da un quarto di secolo “Il sole 24 Ore” stila una classifica circa la “vivibilità” delle province italiane. Per la classifica del 2015, se vogliamo trovare la prima città calabrese, Crotone, dobbiamo scendere all’ottantanovesimo posto.. Pur non “sacralizzando” le statistiche, certamente esse fanno riflettere.. Chi è imprenditore e chi governa, di fronte a queste risultanze statistiche, non può ignorare la necessità di investimenti mirati alla ripresa. Non si deve ignorare quella Calabria che vive e lotta ogni giorno per rinascere dalla crisi degli ultimi anni, che non è stata solo debolezza economica o finanziaria, ma forse soprattutto mancanza di un patrimonio di valori e ideali nei quali credere e riconoscersi e costruire un’identità di popolo. C’è molto da fare perché questo diventi realtà. Ma restare a guardare aspettando che lo facciano altri non basta: è un’illusione. Attendersi una svolta immediata appare difficile, anche se non impossibile. Sollecitarla è doveroso. Realizzarla facendo leva sulle proprie forze è oggettivamente opportuno. Necessario, direi».

Quali input può dare la Chiesa calabrese alla classe dirigente (politica, imprenditoriale, società civile…)?

«A chi appartiene alla classe dirigente le Chiese di Calabria non possono non ricordare che i primi debbono porsi e proporsi in spirito di servizio per combattere la povertà e favorire l’occupazione. Il lavoro è la prima necessità della povera gente ed il bene sociale lo scopo di ogni amministrazione. Se ciò non avviene, la povera gente illusa e delusa cercherà altrove le risposte ai propri bisogni. Le scelte economiche debbono essere orientate verso chi è più debole o emarginato. L’indice di civiltà cristiana si misura dalle poste di bilancio etico, da quanto si destina ai ceti meno abbienti, da quanto s’investe per il miglioramento complessivo del sistema».

E, in questo quadro, la Calabria come si pone?

«So che negli ultimi mesi la Regione ha avviato la legge di riforma del trasporto pubblico locale, la legge urbanistica, la liquidazione di diversi enti in house, l’approvazione del Por e del Psr in agricoltura, la riorganizzazione burocratica, il rifinanziamento nel bilancio 2016 di leggi importanti come quella sulle barriere architettoniche, il finanziamento significativo dell’area socioassistenziale e sociosanitaria, l’avvio della verifica di fattibilità del reddito minimo di inclusione sociale. Eppure ritengo che serva un ulteriore sforzo per la valorizzazione sociale ed economica della Regione, attraverso la tutela delle fasce deboli; una riorganizzazione del comparto sanitario, socialmente e umanamente apprezzabile; l’abbattimento dei costi della politica e della burocrazia. Inoltre, all’indispensabile riaffermazione della legalità in ogni ambito, specie in quello educativo e formativo, va abbinata la determinazione di esigere dal governo centrale di mettere in Agenda il Mezzogiorno. Obiettivi essenziali non per il destino della Chiesa, ma per l’avvenire della Calabria e dei suoi figli».

Quale sostegno la Chiesa calabrese può dare nella lotta alla criminalità organizzata?

«I vescovi di Calabria sono da tempo ripartiti dal grido di Giovanni Paolo II nella Valle dei templi: «Dio ha detto una volta: ‘Non uccidere’: non può uomo, qualsiasi, qualsiasi umana agglomerazione, mafia, non può cambiare e calpestare questo diritto santissimo di Dio! Qui ci vuole civiltà della vita! Nel nome di questo Cristo, crocifisso e risorto, di questo Cristo che è vita, via verità e vita, lo dico ai responsabili, lo dico ai responsabili: convertitevi! Una volta verrà il giudizio di Dio!”. Alle tante persone che ancora si domandano dove fossero le Chiese cattoliche prima di questo grido, si deve rispondere che esse erano comunque lì, come adesso, ma ora non sono più silenti nella ininterrotta opera di seminagione del buon grano. Ci sono poi gli ultimi due documenti del 2016: “Testimoniare la verità del Vangelo” e “Per una nuova evangelizzazione della pietà popolare” che lo testimoniano. Naturalmente i documenti non bastano”».

Quale esempio può dare la Chiesa?

«Ci vuole la coerenza della vita: essere credenti è una condizione che non può ammettere di essere insieme criminali e mafiosi, come attesta perfino il sicario del beato don Pino Puglisi, collaboratore di giustizia da tempo. Personalmente propongo il “metodo Puglisi” perché è in grado di formare coscienze oneste e dare indicazioni circa l’azione di prevenzione e repressione messa in campo dalle forze dell’ordine e della magistratura. In un terreno evangelicamente arato crescono frutti di speranza, come quelli registrati dall’Arcidiocesi di Catanzaro nel campo della lotta all’usura attraverso la fondazione “Santa Maria del Soccorso”, capace di entrare in contatto, negli ultimi 15 anni, con oltre 3.000, tra famiglie e imprenditori, accettando 2006 richieste d’aiuto e finanziandone più della metà, nonostante il taglio dei fondi ministeriali».

La Calabria e la povertà: non crede che il messaggio evangelico sarebbe ancor più efficace se le persone vivessero una se­renità economica e sociale?

«Non c’è pace se, come dice papa Francesco, la villa miseria circonda da ogni lato le case e le attività di chi più ha e più sperpera. A livello individuale è necessario combattere lo spreco, il consumismo, acquisire la consapevolezza della necessità di una maggiore sobrietà. A livello governativo, poi, urge passare da una sostanziale irresponsabilità egoistica a una corresponsabilità globale: la complessità dei sistemi socioeconomici attuali esige un impegno fattivo e non vagamente filantropico, per incamminarsi verso una nuova etica civile assolutamente indispensabile. Soltanto la tranquillità economica e civile porta pace sociale e devitalizza i motivi di conflitto».

È stato l’anno delle stragi terroristiche, dall’attacco a Parigi agli scenari di guerra in Medioriente: come può il sentimento religioso cercare di arginare questa deriva fondamentalista?

«Su questo terribile momento di terza guerra mondiale a pezzi, cito la testimonianza di monsignor Boutros Moshe, Arcieparca di Mossul dei Siri nella piana di Ninive, riferita in un recente Congresso sul santo Volto, a cui ho partecipato: “I fondamentalisti islamici hanno sparato all’impazzata all’uscita della Messa e ci hanno imposto il rinnegamento della nostra fede per vivere in pace, oppure l’emigrazione… Noi abbiamo lasciato tutto, anche le più piccole cose e ora siamo a Erbil… Non lasciamo la nostra fede in Cristo, noi che preghiamo il Padre nostro ancora nella stessa lingua aramaica di Gesù”. Ecco il senso genuino di un sentimento religioso che argina ogni deriva violenta: non abdicare mai alla propria fede, ma soprattutto ricordare che la vera religione non è mai violenta. Per sconfiggere il terrore e la violenza, come ha ricordato anche Papa Francesco, c’è soprattutto un’arma da distribuire urgentemente: una chance educativa per tutti. La guerra minacciata, che è poi la degenerazione d’un confronto vestito da scontro di religioni per celare altri obiettivi, quali l’affermazione del potere e il controllo delle riserve petrolifere ed idriche, potrà essere vinta – anzi, evitata – solo culturalmente, svelando l’inganno, e dunque a due condizioni: se teologicamente nello stesso Islam vi sarà il prevalere di interpretazioni storico-critiche del Corano e se nel confronto tra le religioni, come ammoniva il cardinale Carlo Maria Martini, vi sarà una conversione delle menti che spezzerà la durezza di cuore che alimenta le interpretazioni terroristiche dei libri sacri».

La Chiesa e il fenomeno dell’immigrazione in Calabria: come dare forza ai valori della solidarietà e dell’integrazione in una regione in cui gli immigrati continuano a vivere – come dimostra il caso Rosarno – in condizioni inaccettabili?

«Chi lascia la propria terra di origine per bisogno o per salvare la vita, va accolto a prescindere, in nome della dignità umana nonché dei valori di solidarietà e di rispetto delle culture. Ma bisogna essere, comunque molto attenti a non andare mai sotto la soglia minima della dignità di coloro che sono ospiti nelle nostre terre. Di qui la necessità di verificare attentamente il nostro sistema di accoglienza, con particolare attenzione ai piccoli migranti orfani o non accompagnati, ed anche la necessità di governare con decisione i fenomeni di criminalità e di illegalità, da chiunque messi in atto. Non deve essere consentito che “caporali” stranieri si aggiungano ai nostri per sfruttare le varie manovalanze, aggiungendo reati a reati, tra i quali la violazione delle norme sul soggiorno. Non va, infine, dimenticato che, grazie all’immigrazione, le nostre città diventano degli interessanti laboratori per praticare nella quotidianità il pluralismo religioso. La società del benessere è ridotta a una fortezza assediata, ma è un’illusione difendersi alzando mura e rovesciando barconi. Il futuro in cui siamo già immersi comincia proprio nei campi di Rosarno, sui quali i grandi problemi della civiltà contemporanea si addensano come nubi. Gli esperti continuano a ripetere che il nostro popolo, aprendosi a chi viene da lontano, smarrisce la sua identità. In realtà, siamo già cambiati: non perché incomba il meticciato, ma perché non siamo più accoglienti come una volta. I tratti caratteriali che abbiamo perduto possono essere recuperati soltanto tramite una seria riflessione che porti ad uno zoliano j’accuse introspettivo: la battaglia per l’affermazione del riconoscimento dei diritti umani non ha colore, né di pelle, né di ideologia».

Anche la Chiesa calabrese è stata toccata dagli scandali di preti accusati di pedofilia (vedi caso del vescovo della Piana di Gioia Tauro): quali anticorpi attivare dall’interno? Come rendere concreto, anche su questo campo, l’input di papa Francesco improntato alla massima severità?

«A Scalfari, che lo intervistava, papa Francesco rispondeva d’aver in mente di prendere il bastone contro i preti pedofili. Questo, però, non deve far passare in sottordine il dato che il Papa forniva, cioè che la pedofilia dentro la Chiesa si attesta al due per cento. Certo, questo dato non tranquillizza affatto la Chiesa istituzionale, che anzi reputa gravissimo il fenomeno che ha riguardato preti e perfino vescovi e cardinali, come reso noto da papa Benedetto XVI, deciso a fare piazza pulita. Posso serenamente affermare che l’opera di rinnovamento portata avanti dagli ultimi Papi non può e non deve conoscere sosta. Una volontà del resto comprovata dalle indicazioni espresse in tema di abusi sessuali, che ribadendo le disposizioni racchiuse nel motu proprio “Sacramentorum sanctitatis tutela” del 2001, stabiliscono l’obbligo della denuncia alle autorità civili, di eventuali crimini, da parte dei vescovi. E sempre agli Ordinari sono demandati il compito di tutelare i bambini, limitando le attività di qualsiasi sacerdote della sua diocesi, e la facoltà di adottare le misure necessarie a garantire che i bambini non ricevano danno. Insomma, per la prima volta nella sua storia, la Chiesa si spoglia della funzione di protezione nei confronti dei propri membri. Si priva di ogni attribuzione e volontà di giudizio nel merito. E lo fa non in seguito a provvedimenti emanati da una qualche autorità civile di cui giocoforza dovrebbe prendere atto, ma in via autonoma. Non mancheranno ostacoli, ma la certezza che viene da Cristo è salda: non praevalebunt».

Cosa pensa a proposito dei tanti ragazzi che decidono di “fuggire” dalla nostra terra perché qui non trovano nulla che li aiuti a progettare la loro vita? Crede che sia facile “inventarsi” un lavoro? E con quali rischi?

«Ho scritto recentemente ai giovani della mia arcidiocesi per rispondere a delle loro precise domande. Li ho incoraggiati a riacquistare fiducia nella forza e luminosità della nostra fede, che è un dono dall’alto, prima che una nostra conquista. La fede non è un salto nel buio, non è una cosa buona fino a quando non interviene la spiegazione della scienza e della tecnica. La luce della fede può, deve, illuminare perfino le scelte di vita, il tipo di scuola o di laurea da seguire, l’orientamento lavorativo e professionale, l’eventuale decisione di spostarsi altrove per studiare o lavorare».

Fuggire, dunque, o restare?

«Fuggire non è di certo la strada migliore di affrontare i problemi, anche se le opportunità di impiego, oggi, non vanno più solo cercate sul territorio, ma in un contesto europeo ed internazionale. Del resto, la nuova generazione digitale è nata “cittadina del mondo intero”. E, tuttavia, non bisogna mai arrendersi di fronte alla carenza di posti di lavoro nelle nostre terre. È da anni che ci viene ricordato che la Calabria abbonda di risorse naturali uniche e di beni culturali di grandissimo valore. E allora perché non le valorizziamo e non le trasformiamo in fonti di lavoro giovanile? Ed allora, dico ai giovani: coraggio! Cambiare, si può e si deve. Autori del cambiamento dovranno essere proprio i giovani. Ad essi è richiesto anzitutto di costruire e poi di difendere con orgoglio la propria identità; di sottrarsi, poi, alla massificazione spersonalizzante ed annichilente. Di non fermarsi alla realtà descritta dai media. Di non nutrire un’indignazione incapace di trasformarsi in speranza e generare concretezza. Insomma servono giovani pronti ad appropriarsi responsabilmente del proprio futuro: la Chiesa – e Papa Francesco lo dimostra – è al loro fianco».

Eccellenza, quali saranno gli appuntamenti più significativi dell’ Anno pastorale che sta per iniziare?

«Ne vorrei ricordare, anzitutto, uno che sta passando un po’ in sordina, a motivo dell’emergere di attenzione per l’Anno Santo della misericordia: la conclusione dell’anno ecclesiale per la vita consacrata. Vorrei poi ricordare l’atteso rinnovamento della pastorale a vantaggio della famiglia, dopo ben due Sinodi dei vescovi sulla famiglia. Vorrei poi ricordare l’appuntamento della Quaresima nel corso dell’Anno Santo, durante il quale in tutte le parrocchie si terrà una missione popolare. In Quaresima, oltre alla meditazione sulla via crucis meditando assieme a Papa Francesco, a Sant’Agostino ed ai beati Giacomo Cusmano e Giuseppe Puglisi, farò rappresentare nei teatri della diocesi “Ognuno” (1911) di Hugo von Hofmannsthal, che è il dramma di un ricco che si pente sul letto di morte. Si sta curando in tutte le parrocchie e nelle foranie l’Anno dei giovani, che avrà la sua conclusione a Pentecoste, ma avrà una sua appendice nella Giornata mondiale della gioventù, a fine luglio, in Polonia. Ma ciò che maggiormente mi sta a cuore è l’OASI della Misericordia, di Catanzaro Lido, ove possono trovare ristoro i senza fissa dimora, verso i quali, auspico che si riversi tanto amore e tanta misericordia da parte di tutta Catanzaro».

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