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POTENZA – Assolto «perché il fatto non sussiste», che è la formula più ampia possibile.

Si è conclusa così ieri in tarda mattinata l’udienza d’appello del processo per diffamazione ai danni dell’ex capo della mobile di Potenza Luisa Fasano a carico di Antonio Mennuti, commissario della sezione anticrimine e segretario regionale del Siulp.

IL VOLANTINO

La vicenda ruota attorno a un volantino affisso in Questura il 9 ottobre del 2007 a firma di Mennuti, in qualità di sindacalista, in cui si chiedeva l’allontanamento del dirigente dall’incarico che all’epoca ancora ricopriva, prima del suo trasferimento a Matera dov’è tutt’ora in servizio.

Il momento era quello di massima risonanza dell’inchiesta sulle “Toghe lucane” condotta dall’ex pm Luigi De Magistris. Un’inchiesta per cui Luisa Fasano è stata  prima indagata e poi assolta per aver fatto parte di un presunto comitato d’affari tra magistrati, politici, imprenditori e funzionari di polizia giudiziaria impegnato a spartirsi le ricchezze di mezza regione.

Di fatto, nei giorni precedenti all’affissione del volantino nella bacheca al 5° piano del palazzo di via Marconi, persino il grande network televisivo di Stato aveva scelto di occuparsi del caso. In particolare Annozero di Michele Santoro e Chi l’ha visto? di Federica Sciarelli.

L’ANTEFATTO

L’effetto sarebbe stato a dir poco dirompente con la rievocazione delle ipotesi degli investigatori e dei principali misteri lucani sui quali si stendeva l’ombra del “comitato”. Attori professionisti avrebbero interpretato il testo di alcune intercettazioni finite sul tavolo del pm De Magistris anche se disposte nell’ambito di un’inchiesta del pm Henry John Woodcock, che all’epoca era ancora in servizio nella Procura di Potenza, per cui in tempi diversi sono finiti sul registro degli indagati la stessa Luisa Fasano e il marito Salvatore Margiotta, influente senatore del Pd.

Una di queste aveva fatto molto scalpore, a Potenza e non solo, ed è quella in cui la dottoressa Fasano, quand’era ancora titolare dell’inchiesta sulla “scomparsa” di Elisa Claps, se la prendeva con la famiglia della ragazza dicendo che anche lei al suo posto sarebbe scappata.

In altre invece – pubblicate anche dal Quotidiano della Basilicata – ne avrebbe avute persino per i suoi stessi investigatori, Mennuti in primis, accusati di una serie di insuccessi investigativi come lo stallo nelle indagini sull’omicidio di un avvocato a Melfi.

TOGHE LUCANE

Fin qui l’antefatto dietro la redazione del volantino “incriminato”. Poi c’è stata la denuncia della Fasano, e la richiesta di rinvio a giudizio avanzata dal pm Claudia De Luca. oggi in servizio a Napoli. Non un magistrato comunque, a ben vedere. Dato che è stato coinvolto – e assolto – a sua volta in “Toghe lucane” ed è imputato nel processo “Toghe bis” per aver svolto indagini illegali su un altro poliziotto della mobile di Potenza e il collega pm Henry John Woodcock. Un’inchiesta, quest’ultima, da cui la posizione di Luisa Fasano è stata archiviata, mentre Mennuti in primo momento era stato indicato tra le parti offese di un presunto complotto per delegittimare alcuni investigatori “scomodi” per l’estabilishment politico- imprenditoriale lucano.

L’ACCUSA

Per il pm De Luca le affermazioni contenute in quelle due paginette a firma di Mennuti avrebbero configurato a tutti gli effetti una diffamazione «in quanto lesive del decoro professionale» di Luisa Fasano, oltre che della funzione rivestita».

Il passaggio preso di mira è stato quello in cui l’ex capo della Squadra mobile veniva accusato «di aver leso la credibilità della Polizia di Stato, facendo trapelare notizie della propria vita familiare e adoperando espressioni censurabili che avevano screditato l’intera istituzione». Motivi per cui Mennutti si spingeva a chiedere «l’allontanamento dalla sede di servizio» della Fasano «per i danni provocati all’amministrazione».

IL PROCESSO

In primo grado il dibattimento si era concluso con la richiesta di assoluzione avanzata dal pm Sergio Marotta, erede il fascicolo della De Luca, per cui «le parole nel volantino avrebbero potuto essere ben peggiori».

Di diverso avviso il giudice Giovanni Conte, magistrato onorario in servizio nel Tribunale di Potenza, che ha accolto la richiesta avanzata dal legale di Luisa Fasano, Tuccino Pace, condannando Mennuti a 300 euro di multa, per un delitto che prevede la pena della reclusione fino a due anni, o della multa fino a 2mila euro.

In pratica, tutto il contrario di quello che è successo ieri: col sostituto procuratore generale Renato Liguori a chiedere la conferma della condanna, e il solo avvocato Donatello Cimadomo a insistere per la sua riforma invocando il legittimo esercizio del diritto di critica sindacale.

La decisione della Corte d’appello presieduta da Francesco Verdoliva, assistito a latere da Pasquale Materi e Rosa D’Amelio, è arrivata dopo una camera di consiglio durata circa due ore.

Ma c’è da giurarci che la storia non finirà così. Nemmeno la composizione della Corte è passata inosservata, con un giudice potentino come la denunciante, Pasquale Materi, e un montemilonese come l’imputato, Rosa D’Amelio, di più soltanto 2 anni più giovane.

Spetta alla procura generale decidere se avanzare o meno ricorso in Cassazione. In caso contrario alla difesa di Luisa Fasano resterebbe la possibilità di impugnare la decisione soltanto agli effetti civili, per un eventuale risarcimento.

Le motivazioni della sentenza verranno depositate nei prossimi giorni.

l.amato@luedi.it

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