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Il boss Luciano Lo Giudice ha chiesto di sentire Alberto Cisterna (procuratore aggiunto della Direzione nazionale antimafia), Francesco Mollace (sostituto procuratore generale presso la Corte d’Appello di Reggio) e Francesco Neri (giudice della Corte d’Appello di Roma) come testimoni a suo favore e cos’ i tre magistrati accusati dal collaboratore di giustizia Nino Lo Giudice, si troveranno nella paradossale situazione di riferire durante il processo a carico del fratello del loro accusatore dovranno comparire in aula. Accuse, ovviamente, ancora al vaglio degli inquirenti.
La prima udienza del cosiddetto processo “Arillotta + 11”, è fissata per giovedì 19 gennaio. E, come da prassi, i difensori hanno depositato le rispettive liste dei testimoni che intendono chiamare a deporre in favore dei propri assistiti. Una pratica, quella della lista testi, che deve essere risolta una settimana prima dell’inizio del processo.
Tra le ultime liste arrivate in Tribunale, quella degli avvocati di Luciano Lo Giudice, imputato principale del procedimento. E nell’interesse del proprio cliente, i legali Aldo Casilinuovo e Filippo Caccamo, hanno chiamato a deporre otto persone. Tra queste i tre noti magistrati. Che, in particolare, dovranno riferire «su eventuali rapporti intercorsi con l’imputato» e «su quanto a loro conoscenza in merito alla gestione del cantiere della “Nautica Spanò” e sull’eventuale utilizzo di tale struttura per il ricovero di proprie imbarcazioni da diporto e in caso affermativo, sulle ragioni che determinarono l’opzione in favore di quel cantiere nautico».
Per comprendere le ragioni di tale scelta difensiva bisogna spiegare i capi d’imputazione che gravano su Luciano Lo Giudice. La Dda reggina lo accusa, anche grazie alle dichiarazioni del fratello Nino, di essere il volto imprenditoriale della famiglia di ‘ndrangheta guidata dal boss pentito. A lui dunque, era demandato il compito di gestire i soldi del clan ed i relativi investimenti. Luciano viene indicato dal fratello e dal cugino Consolato Villani (anch’esso collaboratore di giustizia) come una sorta di uomo immagine della cosca. Personaggio in grado di avere rapporti diretti con esponenti di primo piano delle istituzioni (sia magistratura che forze dell’ordine). Luciano inoltre sarebbe stato il reale proprietario della “Nautica Spanò”, una struttura per i servizi di manutenzione e ricovero di imbarcazioni. Attività che, tra l’altro, ospitava natanti della polizia e le imbarcazioni private di alcuni esponenti della magistratura e delle forze dell’ordine. Fin qui le accuse di Nino Lo Giudice, costate fino a questo momento un’inchiesta nei confronti di Alberto Cisterna e Francesco Mollace (l’indagine su questi è stata trasferita a Catanzaro per questioni di competenza). Le toghe hanno sempre respinto ogni accusa. Cisterna ha ammesso di avere avuto rapporti con Luciano Lo Giudice, ma soltanto in quanto fonte confidenziale finalizzata alla cattura dell’allora super latitante Pasquale Condello, detto il “Supremo”. Circostanza in parte confermata anche dal fratello collaboratore di giustizia. E’ chiaro dunque che Luciano voglia mettere sul tavolo del processo il suo rapporto (o la sua eventuale inesistenza) chiamando in causa proprio i protagonisti delle accuse del fratello.
Inoltre, sulla vicenda della cattura del “Supremo”, Luciano attraverso i suoi legali, ha deciso di far testimoniare anche il colonnello dei carabinieri Valerio Giardina. Ossia il militare alla guida del Ros protagonista dell’arresto di Condello nel 2008.
Infine l’ultima chicca che è possibile tirar fuori dalla lista dei testimoni. Gli avvocati Casilinuovo e Caccamo ha chiamato anche Marco Marino, il pentito dell’omicidio Rende. Che avrebbe raccontato alcuni retroscena relativi alla bomba alla Procura generale. Marino sarà chiamato a rispondere «su quanto a sua conoscenza relativamente all’eventuale ruolo» ricoperto da Luciano e dal fratello Nino nell’ideazione ed esecuzione materiale dell’atto intimidatorio».

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