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POTENZA – Si terrà a Roma il processo per il colonnello Mario Zarrillo, l’amica operatrice socio sanitaria Veronica Vasapollo, gli imprenditori Leonardo Mecca e Vito Zaccagnino, e l’appuntato Pasquale Agosto.

Lo ha stabilito ieri pomeriggio il gup di Potenza Amerigo Palma dopo aver sollevato lui stesso la questione della competenza territoriale.

Decisiva è stata la considerazione sull’ubicazione dei server delle Fiamme gialle a cui l’ex capo di stato maggiore della Basilicata (ora in pensione) avrebbe compiuto una serie di accessi abusivi.

Infatti, dal momento che si trovano nella capitale e che questa è l’imputazione più grave ipotizzata nei suoi confronti, anche le altre hanno seguito lo stesso destino.

Zarrillo, che a marzo nell’ambito di questa inchiesta è finito ai domiciliari e tuttora è sottoposta all’obbligo di firma, deve rispondere anche di millantato credito, traffico d’influenze, falso, sostituzione di persona, danneggiamento aggravato e peculato.

Gli investigatori della Squadra mobile di Potenza sono arrivati a lui seguendo le tracce di un imprenditore di Potenza, Leonardo Mecca, o meglio di suo figlio che si era accorto di essere seguito da un’auto “civetta” e ha segnalato al padre la targa.

Per capire chi pedinava il figlio Mecca si sarebbe rivolto proprio al «comandante» Zarrillo. Ma i rapporti tra loro due, stando al gip Rosa Larocca, sarebbero stati «particolamente “intimi”, al punto che Mecca più volte si prodigava (e verosimilmente lo aveva fatto altre volte in passato) a reperire donne che fossero eventualmente “disponibili” ad intrattenere Zarrillo». In più secondo il magistrato «la contestualità della richiesta lascia desumere che le eventuali prestazioni sessuali» della ragazza di turno, che loro chiamano in codice l’«ingegnere», potessero costituire «una sorta di riconoscenza per le informazioni riservate che Zarrillo gli stava dando».

Da ulteriori accertamenti sul conto del colonnello è venuto fuori che quello di raccogliere informazioni dalle banche dati della Finanza sarebbe stato un vero e proprio vizietto. Il suo «bersaglio» di solito erano belle signore. Si segnava il numero di targa e poi chiedeva al 117 generalità e indirizzo della proprietaria.

Prima del piacere, però, venivano gli «affari», e in particolare gli amici che avvalevano delle sue «consulenze». Come Leonardo Mecca o Vito Zaccagnino, un imprenditore potentino, col problema di un finanziamento bloccato al Ministero. A loro il colonnello avrebbe promesso interventi vari grazie alla sua autorità di colonnello, anche su questioni giudiziarie o fiscali aperte all’Agenzia delle entrate. D’altra parte, ma sul punto non esiste una contestazione specifica degli inquirenti, tanti di loro avrebbero contribuito alla sua nuova villa di Policoro. «Una raccolta di beni e servizi – la definisce il gip – ottenuti da Zarrillo grazie alla “disponibilità” di vari imprenditori».

Poi c’è il suo rapporto con un’operatrice socio sanitaria di Tito Scalo: Veronica Vasapollo, 26 anni più giovane di lui, e molto bella.

Per compiacerla Zarrillo si sarebbe spacciato per suo padre provando a farle cancellare una multa per la Ztl dai vigili di Potenza, dopo aver falsificato la data di revizione della sua auto con la complicità di un militare suo subalterno. In più avrebbe usato il telefono di servizio per prenotarle il parrucchiere e sarebbe esploso in accessi di gelosia come quando ha scoperto che lo tradiva con un altro, grazie sempre a un repentino controllo sulla targa della Mercedes parcheggiata sotto la sua abitazione.

Per ottenere il suo trasferimento da Lagonegro a Potenza Zarrillo è intervenuto personalmente, ma senza successo, sul direttore della Asp Mario Marra e quello del San Carlo Giampiero Maruggi, soprannominato «il grande capo». Ma quando ha saputo che una collega di lei era disposta a sborsare «qualunque cifra» per ottenere a sua volta un trasferimento non avrebbe avuto esitazioni a chiederle 20mila euro, d’accordo con la sua giovane “socia in affari”.

«Vendita di fumo» per il gip Larocca. Altra storia i buoni benzina intascati da un’imprenditrice del Lazio per aiutare il figlio al concorso per entrare nella scuola sottufficiali della Finanza, che ha ammesso di aver ricevuto del «materiale riservato» per preparare l’esame e «le prime cinque righe» della prova scritta da ricopiare per «consentire ai commissari eventualmente contattati di individuare il compito del candidato». Ma queste sono ipotesi di reato di competenza della procura di Bari, e nei prossimi giorni gli atti sono destinati ad essere inviati nel capoluogo pugliese.

L’inchiesta degli agenti della Mobile soprannominata Vento del Sud a febbraio aveva già portato agli arresti dell’imprenditore Bartolo Santoro, del capo dell’ufficio tecnico del Comune di Avigliano Rocco Fiore e di un dirigente del Comune di Potenza, Pino Brindisi, che a maggio sono stati rinviati a giudizio assieme ad altre 17 persone con accuse che vanno dalla corruzione, turbativa d’asta, passando per il falso e la soppressione di documenti.

l.amato@luedi.it

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