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CROTONE – La richiesta fu avanzata il 9 luglio scorso davanti a un magistrato della Dda dell’Aquila, ma ancora il pentito Luigi Bonaventura non ha ricevuto risposte. Chede, il collaboratore di giustizia, di ottenere lo status di testimone di giustizia per fatti di cui è venuto a conoscenza nell’ambito del programma di protezione. Fatti che ha già denunciato. Per questo il suo legale, l’avvocato Giulio Calabretta, ha chiesto l’estensione del programma di protezione. Potrebbe essere questa, secondo l’avvocato Calabretta, che ha diffidato il Ministero degli Interni a rispondere entro un termine di 30 giorni e chiede se siano stati acquisiti i pareri di Dda e Dna, minacciando un eventuale ricorso al Tar, la «soluzione alle varie problematiche che il collaboratore ormai da mesi sta denunciando e cioè assenza di mimetizzazione e impossibilità per la Commissione e quindi per il Servizio centrale di protezione di collocare Bonaventura e la propria famiglia in una località in Italia sicura, visto il forte radicamento della ‘ndrangheta in tutte le regioni del Nord Italia». 

L’avvocato Calabretta spiega anche che le recenti proposte di spostamento nel territorio nazionale «sono state declinate» poiché nelle città indicate «vi è la presenza di soggetti appartenenti ai gruppi famigliari della criminalità organizzata, denunciati da Bonaventura», oltre che per il fatto che «non sono stati ancora esternati i criteri che dovrebbero garantire la mimetizzazione in ossequio a una pronuncia del Consiglio di Stato». Con il riconoscimento dello status di testimone di giustizia, inoltre, Bonaventura e la propria famiglia «potrebbero rimanere a Termoli con il servizio scorta così come è appunto previsto per i testimoni di giustizia stessi – sottolinea ancora il legale dell’ex reggente della cosca di Crotone – e si potrebbe agevolare anche il reinserimento sociale dello stesso collaboratore».
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