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di FRANCESCO BOCHICCIO CHI scrive ha già evidenziato che Berlusconi, con comportamenti concreti in totale contrasto con il suo anticomunismo viscerale, ha tratto grande insegnamento dalla sinistra radicale, e, ovviamente, vista la sua nullità politica, si tratta per lo più della parte peggiore, con particolare riferimento alla concezione leninista (in chiave caricaturale) della politica con la presa del potere e l’occupazione dello Stato. Anche in Berlusconi la distinzione tra partito e Stato è così annullata del tutto. Come mai questa profonda alterazione dell’assetto costituzionale si è potuta realizzare con Berlusconi quasi indisturbato e con i suoi oppositori isolati? Le ragioni sono tante e chi scrive sta da tempo tediando i lettori in materia, senza necessità di ripetizioni. Un solo punto merita di essere ricordato. Chi scrive ci tiene a distinguere Lenin dal leninismo; Lenin è stata una grandissima figura rivoluzionaria, che ha spezzato un regime intollerabile quale quello zarista ed era intenzionato fermamente a correggere le storture della rivoluzione. Le letture storiche adesso unanimi (quale quella recentissima di Andrea Graziosi), che vedono una continuità assoluta tra Lenin e Stalin, sono del tutto inattendibili e si inquadrano nel revisionismo storico che vede la storia del ‘900 quale contrapposizione tra capitalismo liberale e comunismo dispotico (che viene acriticamente accostato a fascismo e nazismo), senza vedere le profonde sfaccettature in un campo e nell’altro, e Graziosi addirittura riutilizza l’espressione di Croce della storia come “storia della libertà”, dimenticando le atrocità anche nell’ambito del capitalismo liberale e dimenticando che il movimento operaio è stato essenziale per l’affermazione del liberalismo e della democrazia, prima delle lotte operaie assolutamente marginali e ristretti (ciò viene trascurato anche da Pierluigi Battista, la cui opinione non può essere messa sullo stesso piano di quella di Graziosi, perché questi è un grande storico, mentre Battista è solo un “liberale realista” del Corriere della Sera, che nell’appoggiare la linea del proprio giornale spesso, al pari di Pietro Ostellino, si avventura in campi ignoti). Il leninismo è la teoria rivoluzionaria che rompe, non a parole ma di fatto, con il marxismo non solo per il tentativo di trasformazione socialista in un paese non sviluppato (Gramsci definì la Rivoluzione d’Ottobre quale “rivoluzione contro il Capitale”, vale a dire contro l’opera più importante di Marx) ma anche per la prevalenza dell’elemento politico su quello sociale. In tale ottica, il valore centrale del partito (affermato in “Che fare?” del 1905, e poi negato in “Stato e rivoluzione”, nel 1917, paradossalmente mentre si realizzava la rivoluzione secondo schemi conformi al lontano scritto del 1905) mostra una preoccupante analogia con la teoria dell’amico-nemico della politica pura e assoluta di Carl Schmitt, giurista e filosofo politico grande avversario della Repubblica di Weimar e all’inizio sostenitore del nazismo, e comunque fondatore della teoria politica di democrazia autoritaria e accentratrice di potere, che, per il tramite di Gianfranco Miglio, già in sintonia con Cefis per una trasformazione (democratica, ma) autoritaria dell’assetto costituzionale e recentemente ideologo della Lega e seguace di Schmitt, ha raggiunto (presumibilmente per il tramite di Gelli, a cui Miglio è peraltro estraneo) l’apogeo in Berlusconi. La sinistra non ha mai combattuto a fondo Schmitt, in quanto non ha mai tratto insegnamento dalle lezione di Weimar, unico grande esempio di alleanza tra la socialdemocrazia e la parte migliore del campo borghese per una profonda trasformazione democratica e sociale (con elementi non trascurabili di socialismo) del capitalismo organizzato. Anche se non bisogna dimenticare che elementi non secondari della socialdemocrazia erano in sintonia con la parte peggiore dello schieramento borghese ed al Presidente Ebert, figura nobile ma debole, furono fatti utilizzare i famigerati “freikorps”, estremisti di destra prelevati dalle fila dei reduci dalla Grande Guerra, che trucidarono Rosa Luxemburg e Karl, rimanendo impuniti, e Rosa Luxemburg, unica grande politica della sinistra di Weimar, forse sarebbe riuscita a ricucire lo strappo tra socialdemocrazia e sinistra radicale. Addirittura qualche illustre teorico marxista, da ultimo Mario Tronti ha tentato di inserire organicamente il pensiero di Schmitt nell’impianto marxiano: la teoria politica non è secondaria e il solo pragmatismo non è sufficiente. Berlusconi ha magistralmente inserito la parte peggiore del leninismo in un contesto, quale quello italiano, in cui il liberalismo è sempre stato spesso fittizio e comunque debolissimo. Non bisogna dimenticare che Benedetto Croce era all’inizio favorevole al fascismo per fermare il “pericolo rosso”, e Luigi Einaudi era presumibilmente su posizioni non diverse. La vittoria di Berlusconi viene da lontano, da troppo lontano. L’amico Tita rimprovera su queste colonne chi scrive, con garbo e simpatia s’intende, di volare troppo alto: non si concorda, in quanto occorre, sistematicamente ed organicamente, riprendere a volare alto, come del resto lo stesso Tita, nonostante la garbate e simpatiche affermazioni di modestia, ben fa.

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