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di PIETRO MANCINI
Massimo Ciancimino ha accusato Marcello dell’Utri e il Cavaliere di avere stretto legami con la mafia. Ha aggiunto che “Forza Italia” era nata con l’appoggio dei boss di Cosa nostra. Poi si è scoperto che la trattativa tra le istituzioni e i capi delle cosche era stata aperta dallo stimato professor Giovanni Conso, Guardasigilli, nel drammatico e cruciale 1993, dell’esecutivo Carlo Azeglio Ciampi, con Oscar Luigi Scalfaro al Quirinale. Il 16 novembre del 2010, non sapendo di essere ascoltato dalle microspie, Ciancimino così parlava con un commercialista, indagato in quanto ritenuto vicino alla ‘ndrangheta: «Io ormai sono come Mastrota, tra un po’ vado in tv a vendere le pentole… Faccio tutto! Le cose vanno stra-bene…. Comunque, quando tu senti cose mie in tv, fottitene !». Giovedì, invece, Ciancimino è stato arrestato: avrebbe falsificato i “pizzini” del padre, don Vito, mafioso di rango, il più screditato sindaco di Palermo del secolo scorso. Massimo, insomma, avrebbe mentito, calunniando il prefetto calabrese Gianni de Gennaro, già capo della polizia. Giovedì, ad “Annozero”, Michele Santoro- che ha dedicato al giovane Ciancimino intere puntate – e Marco Travaglio – che sulle accuse di Massimo ha letto e ha scritto tanti editoriali e diversi capitoli dei suoi libri – non hanno annunciato ai telespettatori, in apertura del programma, la clamorosa notizia, concentrati, per l’ennesima volta, a mitragliare Silvio Berlusconi sull’ “affaire Ruby-Minetti-Lele Mora”, con la collaborazione dell’immancabile Italo Bocchino, il quale si è scagliato anche contro Schifani, presidente del Senato. E’ stato Maurizio Belpietro, direttore di “Libero”, a sollevare il caso, mettendo in imbarazzo il conduttore salernitano. Chi c’è dietro Ciancimino, figlio del mafioso don Vito? Perché ha mentito? Si tratta, come ha scritto Travaglio, «di un falso testimone, infilato dalla mafia, o da altri loschi ambienti, per depistare le delicate indagini sulle stragi e sulle trattative?». La Procura di Caltanissetta, guidata da Sergio Lari, allievo e amico di Falcone, magistrato esperto e scrupoloso, già da tempo, aveva bocciato e messo sotto inchiesta Ciancimino junior. E la decisione della Procura di Palermo, da una parte, ha avvalorato le fondate convizioni delle toghe di Caltanissetta, ma nel contempo ha bruciato l’inchiesta nissena. Il procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia, adesso sostiene la singolare e discutibile teoria che Ciancimino sarebbe credibile, ma solo un po’… Ma, in un suo recente libro, il magistrato così ha parlato dell’allora rispettato superteste: “Dal primo incontro con lui, ho capito subito che era di tutt’altra pasta… oggi è arrivato a diventare quasi un’icona dell’antimafia”. Ai contribuenti interesserebbe sapere quanto lo Stato, sinora, abbia sborsato per i frequenti viaggi di don Massimo da Bologna, dove abita con la famiglia, a Palermo e a Caltanissetta, e per i soggiorni negli alberghi, in occasione delle testimonianze ai processoni, in primis quello, kafkiano, contro il generale Mori. L’alto ufficiale dell’Arma dei carabinieri è finito sotto inchiesta, dopo aver ammanettato Totò Riina. E, paradossalmente, martedì prossimo, Ciancimino tornerà nell’ex “Palazzo dei veleni” di Palermo, presentandosi nella veste di incerto e postulante il ruolo di collaboratore di giustizia. E una domanda va fatta anche a Paolo Garimberti e a Mauro Masi, presidente e direttore generale della Rai. Per le numerose puntate di “Annozero”, a cui l’aspirante “pentito” è intervenuto, presentato come “superospite”, ossequiato e riverito quasi come la Madonna Pellegrina, l’azienda di viale Mazzini quanto del denaro, versato dagli utenti con il canone annuale, ha dovuto sborsare per assicurare i compensi a quell’uomo, che è finito in cella, dopo aver calunniato l’ex capo della polizia? Prima di dare il “disco verde” a Santoro, Masi e il direttore di Rai Due, Massimo Liofredi, non avrebbero potuto, anzi dovuto telefonare al capo della Procura di Caltanissetta per sapere se Ciancimino fosse il nuovo oracolo di Delfi, oppure un furbone, che sperava, e continua a sperare, in un salvacondotto dei magistrati antimafia e antipremier, che gli permettesse di mettere al sicuro, e godersi, il megatesorone paterno? Una cospicua parte di queste ingenti somme erano state confiscate da una toga, seria e stimata, come Lari, l’attuale capo della procura di Reggio, Giuseppe Pignatone, quando lavorava a Palermo.

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