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di PIETRO MANCINI
Forse, se non Giorgio Napolitano, almeno qualche autorevole commentatore avrebbe potuto far notare alla terza Carica dello Stato che, per bacchettare gli ex parlamentari del Fli, tornati nel Pdl o confluiti nel nuovo gruppo dei “Responsabili”, non avrebbe dovuto definirli “Quaquaraquà”. Usando, cioè, il termine dispregiativo, che Leonardo Sciascia, nel “Giorno della civetta”, pubblicato nel 1961, mise in bocca a uno spietato boss di Cosa nostra, don Mariano Arena, che conversava con il capitano dei Carabinieri, Bellodi. E opportunamente Adolfo Urso, l’ex viceministro, finiano moderato, in contrasto con la linea anti-Cavaliere di Italo Bocchino, ha spiegato al leader bolognese: «Non ci sono quaquaraquà, ma amici, che hanno fatto scelte diverse». In questo periodo, il presidente della Camera appare molto nervoso, come ha dimostrato, alcune sere fa, a “Porta a Porta”, bacchettando il conduttore, “reo” di aver rivolto qualche domanda, sgradita, sulla vicenda dell’appartamentone di Montecarlo, lasciato in eredità ad Alleanza Nazionale e dove risiede il cognato, Giancarlo Tulliani. Inviperito, Fini ha reagito, accusando Bruno Vespa di essere parziale e, peggio, di frequentare Silvio Berlusconi, alludendo alla collaborazione con il settimanale “Panorama” e ai libri, scritti dal giornalista abruzzese ed editi dalla “Mondadori”. Al leader del Fli, nessuna domanda sulla vicenda “Montecarlo-Tulliani”, si erano ben guardati, invece, di rivolgere, nel giro finiano delle “sette chiese” televisive, i giornalisti di sinistra Sandro Ruotolo, Chicco Mentana, Lucia Annunziata e Giovanni Floris. Costoro non sono mai stati accusati dal presidente della Camera di parzialità e neppure, of course, di frequentare Prodi, Veltroni o D’Alema. E, a proposito di Massimo D’Alema, l’ex premier condivide con Fini la scarsa disponibilità nei confronti dei giornalisti troppo “curiosi”. Alcuni anni fa, “Baffino” invitò i lettori a lasciare in edicola quotidiani e settimanali. E, lo scorso anno, durante una accesa puntata di “Ballarò”, su Rai3, infastidito dalle domande insistenti di Alessandro Sallusti sul suo coinvolgimento nella prima “Affittopoli”, quella del 1995, apostrofò il direttore de “Il Giornale”: «Sallusti, vada a farsi fottere! Lei è un bugiardone e un mascalzone!». E, certo, non maggiore misura ha dimostrato l’ex premier e attuale presidente di un organismo importante, il Copasir (Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica), quando, per colpire il premier, ha accostato Silvio Berlusconi, eletto democraticamente, al sanguinario dittatore Gheddafi e i deputati italiani del gruppo dei “Responsabili”, che sostengono l’esecutivo, ai prezzolati e spietati mercenari libici! Ovviamente, D’Alema ha dimenticato la crisi del primo governo Prodi. Correva l’anno 1998 e, oltre ai famosi “4 gattoni” dell’Udeur, fedeli a Francesco Cossiga, ben 50 parlamentari – tra cui un senatore già fascista, poi nel Msi di Fini, Romano Misserville – eletti nell’allora “Casa della Libertà”, seguirono lo statista di Ceppaloni, Clemente Mastella, consentendo al grande nemico di “Uolter” Veltroni di succedere, primo leader post-comunista, a Palazzo Chigi, al professore emiliano, liquidato da Massimo di concerto con il «parolaio rosso» (Giampaolo Pansa dixit) Fausto Bertinotti. Quanto alle accuse al premier di aver mantenuto rapporti troppo stretti con Gheddafi, molti non hanno dimenticato che D’Alema, quando era ministro degli Esteri, passeggiò, a Beirut, a braccetto con il capo degli Hezbollah, il gruppo armato, che mitraglia i soldati israeliani sul confine e lancia missili verso il nord di Israele. In un momento molto delicato per la politica estera dell’Italia, della Unione europea e per tutta la comunità internazionale, un politico di primo piano, che ha in passato ha occupato rilevanti poltrone, dovrebbe astenersi dall’attizzare polemiche sterili. E non far mancare, come ha deciso, dimostrando senso di responsabilità, Pier Ferdinando Casini, il sostegno al governo del proprio Paese, ben rappresentato dal ministro e dalla sottosegretaria agli Esteri, Franco Frattini e Stefania Craxi, nella difficile gestione della i fase del dopo-Gheddafi.

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