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di TONINO PERNA
CI voleva il quotidiano inglese Independent, che a sua volta riportava l’inchiesta del noto mensile l’Ecologist, per scoprire che la Fanta, l’aranciata d’arancia come recita lo slogan pubblicitario, viene prodotta con il succo (poco per la verità!) di arance raccolte nella Piana di Gioia Tauro-Rosarno. Le mani che le raccolgono e le mettono nelle cassette di plastica sono nordafricane, i salari sono ugualmente africani, i proprietari dei terreni sono calabresi, l’acquirente unico è la nota multinazionale Coca-Cola. Si tratta, in sostanza, di un acquirente monopsonista, che come si insegna in microeconomia decide il prezzo del bene e le condizioni di pagamento. Per i piccoli proprietari della Piana di Rosarno non c’è scelta: o accettare i 7 centesimi al kg o lasciare cadere e fare marcire le arance. Ma, se si accettano 7 centesimi al kg vuol dire che bisogna trovare qualcuno che raccolga queste arance per 20-25 euro al giorno, magari con dieci ore di lavoro. E’ quello che fanno da anni i nordafricani che vengono a Rosarno in cerca di un pezzo di pane, dormendo in condizioni disumane, con il ricatto dei caporali e quello del permesso di soggiorno. Se poi non ce la fanno più e scoppiano, come è successo l’anno scorso, e gli abitanti reagiscono si parla a briglia sciolta di razzismo e di ‘ndrangheta. E’ evidente, come ha scritto il presidente della Coldiretti calabrese, che il prezzo che pagano le multinazionali non è giusto, è un prezzo da mercato degli schiavi che impoverisce il territorio e produce violenza e criminalità. La Coca Cola si è difesa negando ogni addebito. Le procedure – sostiene la casa madre – sono state formalmente rispettate, poi se qualche fornitore si è servito di un subfornitore che a sua volta ha trovato un altro sub – come fossimo in un diving center – non è nostra responsabilità. Fatto sta che dopo questa difesa d’ufficio la Coca Cola, come ha denunciato su questo quotidiano il sindaco di Rosarno, ha disdetto il contratto con un’azienda di trasformazione delle arance. Se la notizia verrà confermata, suonerebbe come un’ammissione di colpevolezza. D’altra parte, è questa la strategia “normale” delle imprese multinazionali: quando incappano in denuncie per disastro ambientale o sfruttamento del lavoro (in specie minorile) lasciano l’impianto o la zona incriminato/a e vanno a trovare un altro paradiso for profit e inferno per gli abitanti. Ma, l’immagine è una cosa vitale che deve essere salvaguardata a qualunque costo. E per la Coca Cola a ragion veduta. Infatti, la multinazionale Usa per il 12° anno consecutivo si è aggiudicata la medaglia d’oro come brand globale a maggiore valore economico. Il valore del marchio, una scritta in corsivo bianco su sfondo rosso, vale 71,8 miliardi di dollari. Probabilmente il marchio, come le monete di un tempo, rivela qualcosa di profondo sulla natura di questa multinazionale: lo sfondo «rosso» richiama al sangue che viene estratto dal lavoro di decine di migliaia di braccianti in tutto il mondo. Meriterebbe un’azione di boicottaggio – come chiede giustamente don Pino De Masi – a livello nazionale e internazionale, come in passato si è fatto contro la Del Monte per lo sfruttamento bestiale dei braccianti africani nella coltivazione delle palme, contro la Monsanto per l’uso di erbicidi altamente inquinanti in India, contro la Benetton per lo sfruttamento del popolo Mapuche in Argentina, ecc. Per fortuna, ci sono ancora spazi di mercato fuori dal controllo delle multinazionali, forme di «mercato equo e solidale» che si stanno affermando anche in Calabria. I G.A.S. (Gruppi d’Acquisto Solidali) della Lombardia e della Toscana, la CTM di Bolzano – il maggior importatore italiano di prodotti del fair trade – la cooperativa Chico Mendes di Milano, eccetera stanno stipulando accordi con i produttori locali (imprese e cooperative sociali) che riconoscono un prezzo per le arance che oscilla da 35 a 50 centesimi al kg e che impegna, al contempo, i produttori a rispettare i diritti dei lavoratori e quelli dell’ambiente. Questa è la sola alternativa al cosiddetto “libero mercato” dominato dalle multinazionali che strozzano i produttori e impoveriscono il pianeta.

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