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di FRANCESCO BOCHICCHIO E’ UN asse egemone, quello tra la Germania e la Francia, che vuole guidare l’Europa sotto criteri di forte efficienza economica e con il ruolo centrale delle banche, e con una ”governance” caratterizzata da scarsa formalizzazione ma ruotante intorno alla capacità decisionale dei Paesi più forti ed a criteri per l’appunto di efficienza economica: si punta, nonostante tutte le apparenze ed i commenti frettolosi che si vedono giorno dopo giorno, ad un’effettiva unione europea in funzione dell’efficienza economica e del ruolo centrale delle banche; la sovranità statale è in capo solo a chi è efficiente economicamente, mentre è un lusso non consentibile a chi non è efficiente (è non condivisibile la lettura fornita oltre un mese fa, in piena crisi del Governo Berlusconi, dal Capo dello Stato Napolitano, secondo cui la Germania mostra ritrosia nella cessione di sovranità statale, sovranità statale invece sacrificata ad un’unificazione sulla base dell’efficienza economica); l’unificazione delle sovranità statali avviene sulla base delle esigenze e delle strategie del capitale finanziario che è dominante, e quindi si rinunzia ad una seria riforma economica dello stesso per responsabilizzarlo e per reprimere gli abusi; al contrario, gli abusi vengono “legalizzati”, con la consacrazione dell’intervento comunitario a risanamento. In tale ottica, la tutela di prospettive sociali resta al centro dei programma, in quanto elemento contraddistintivo dell’Europa in contrapposizione tradizionale all’America, che sta tentando con Obama, con risultati allo stato non esaltanti, un cambio di linea, ma diventa possibile solo per gli Stati efficienti, mentre per quelli deboli è solo un lusso. Ci si trova di fronte ad una ristrutturazione del capitale in Occidente, per mostrare un’alternativa capitalistica all’America in crisi, con l’Europa che mantiene rispetto all’America elementi di differenziazione soprattutto culturali, ma con un’accettazione incondizionata dell’efficienza economica, e del dominio del capitale finanziario, e con un ruolo dello Stato sociale, importante ma solo in via subordinata. L’illuminismo dell’Europa resta sacrosanto, ma gli si impedisce l’accesso alla politica ed all’economia. E’ comprensibile perché i liberali italiani protestino contro l’egemonia franco-tedesca: con la crudezza del linguaggio dei “leader” dei due Paesi viene ad essere sconfessata la possibilità di un mercato solidale e in grado di correggere storture e si ammette l’abdicazione della possibilità di un liberismo temperato, sulla base dell’economia sociale di mercato, quest’ultima priva di effettività reale. E’ una posizione antistorica ed ideologica, quella dei liberali italiani, che si rifiuta di affrontare la realtà nella sua crudezza effettiva. La sinistra ondeggia, nella versione riformista, tra la supina accettazione della posizione europea, che comunque si è rivelata necessaria per trovare un alleato per liberarsi di Berlusconi, supina accettazione priva della manifestazione della consapevolezza del costo sociale, da un lato e, dall’altro, nella versione radicale, il vagheggiare il “default” e addirittura l’uscita dall’Unione europea almeno sotto l’aspetto monetario (su tale posizione è anche uno dei più acuti marxisti italiani di tutti i tempi, Emiliano Brancaccio) . Si rinunzia così a comprendere la ristrutturazione del capitale, in termini di capitale finanziario e di blocco di classe aggregata, e si rinunzia ad un’alternativa. In definitiva, le polemiche contro l’asse franco-tedesco sono sterili e velleitarie: certamente , se la crisi dei Paesi deboli si estende a tutta l’Europa, vuol dire che l’asse ha fallito, ma chi scrive è convinto in maniera tetragona del contrario; il momento è certamente difficile ma l’attuazione dei piani di risanamento nei Paesi deboli, secondo le strategie indicate dall’asse e con forme di aiuto dell’Europa come detto non rispondenti a criteri di rigida formalizzazione (basti pensare al trattamento di favore che si sta riservando al Governo Monti in Italia, con concessione di termini di ragionevolezza per articolare compiutamente il piano di risanamento e con prospettazione di prestiti a condizioni fortemente agevolate), conferma che la strategia sta ottenendo i risultati. Ma è ovvio che l’Europa che sta uscendo fuori, con criteri tutt’altro che privi di logica , non è affatto rispondente a principi di solidarietà e di una nuova realtà politica universalistica, bensì è una nuova e sofisticata forma di imperialismo (in tal senso anche recenti e importante analisi storiche,che peraltro prescindono da un’analisi marxista), con cui i Paesi più forti hanno soggiogato economicamente quelli più deboli. E’ la logica del capitale, quale fu individuata da Marx un secolo e mezzo fa. All’imperialismo del capitale finanziario la risposta è una sola: strategia di classe alternativa e sottostante ad un collegamento tra stabilità finanziaria e programmazione economica, a livello sia nazionale sia di integrazione europea. L’Europa per non diventare una forma sofisticata di imperialismo si deve trasformare in una confederazione di repubbliche socialdemocratiche. L’alternativa si deve quindi basare sul fondamento che efficienza economica e dominio incontrollato del capitale finanziario senza controllo e direzione rigida sono alla fine incompatibili. E’ necessaria un’alternativa nella valorizzazione dell’efficienza economica, ed il capitale finanziario deve essere oggetto di una rigida programmazione statale, con integrazione a livello europeo, e con un blocco sociale, per alcuni versi non privo di innovatività, ma sempre ruotante intorno alla classe operaia e conflittuale con quello del grande capitale.

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