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di MENOTTI IMBROGNO*
CHE valore, sociale ed economico, si dà al lavoro svolto nelle attività, professionali, artigianali, imprenditoriali, politiche, finanziarie quando tutto è asservito alle regole della contrattazione del libero mercato? È solo il rapporto fra la domanda e l’offerta che stabilisce il valore del lavoro umano? È il mercato globale, dove, come qualcuno ha detto, ci sono libere volpi fra libere galline, a stabilire le regole e la misura della dignità del lavoro? Oggi siamo tutti costretti, che si voglia o no, a dare una risposta a queste domande. Operai, impiegati, professionisti, ciascuno deve dare una risposta prima personale e poi collettiva, se vogliamo che le future generazioni non si ritrovino in un’unica grande fabbrica di denaro virtuale, gestita da consigli di amministrazione di anonime e spregiudicate società finanziarie che trattano i popoli e la dignità del lavoro come oggetti di scambio. Abolire l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori e modificare l’art. 41 della Costituzione Italiana svilire il ruolo degli ordini professionali sono la manifestazione e l’avvio di un allarmante processo degenerativo. Dobbiamo abbandonare gli egoismi per dare risposte a queste domande e per confrontarci sulla soluzione dei problemi che esistono, ma che strumentalmente sono sollevati per dividere le diverse componenti sociali e per alimentarne lo stato di conflitto. È evidente che lobbies finanziarie stanno operando, tramite una comunicazione artefatta, una disgregazione sociale, aizzando le giovani generazioni contro le precedenti, i disoccupati contro gli occupati, i dipendenti contro le cosiddette “partite IVA”. Una frantumazione che si realizza incoraggiando l’individualismo e togliendo certezze e speranze. Per quanto riguarda il mondo delle professioni è in atto una denigrazione degli Ordini per indebolirne il ruolo e consentire ad alcuni settori economi di impadronirsi del reddito prodotto da queste attività. Un disegno esplicito. Per appropriarsi di uno spazio lavorativo si screditano le istituzioni che ostacolano il progetto. Sentite ad esempio questa affermazione, riportata sul Corriere della Sera del 20 Ottobre 2011 a firma di Michele Ainis, il quale dopo aver menzionato in maniera superficiale e sintetica argomenti tanto diversi, come la distanza obbligatoria fra una farmacia e l’altra, l’I.C.I. sulle attività commerciali della Chiesa Cattolica, i petrolieri ed il costo della benzina, ad un certo punto asserisce: “ma dopotutto non si tratta solo di quattrini. C’è in questione la libertà, è c’è in questione la libertà fra tutti gli italiani. La prima è ormai un fantasma, tanto che il Wall Street Journal ci situa al 74° posto quanto alla libertà economica peggio del Madagascar. Colpa di un passato che non passa, rendendo sempiterna la Camera dei fasci e delle corporazioni battezzata nel lontano 1939. D’altronde anche gli ordini professionali rappresentano un lascito culturale del fascismo: la legge fondamentale risale al 1938, l’anno delle leggi razziali. E l’eguaglianza? E le opportunità di vita? E il merito?” L’etica della globalizzazione è anche questa, ed è possibile che prenda forma quando la collettività ripete acriticamente ciò che il pensiero globale impone di pensare. Gli Ordini sono descritti quindi, dai fautori del “libero” mercato, come vecchi retaggi culturali nati per difendere interessi corporativi. Si descrive questo mondo articolato e complesso come un’unica realtà, così evidenziando le inadeguatezze di un settore è possibile poi attribuirle all’intero sistema. Con la stessa logica aberrante si potrebbe dire che poiché ci sono Sindacati inefficienti sia auspicabile l’abolizione dei sindacati. Si generalizza per creare contrapposizioni tra chi si riconosce nell’uno o nell’altro schieramento sociale e ideologico. Dividi e impera. Ad esempio si rendono evidenti le difficoltà dell’esame di Stato dei Notai, senza analizzare se queste difficoltà siano dovute alla scarsa preparazione dei concorrenti, trascurando quindi, se sia più rilevante per la collettività avere un maggior numero di Notai o Notai competenti. Si sorvola sul fatto che lo Stato affida all’idoneità e lealtà del Notaio un potere enorme: quello di dare legittimità a un documento e renderlo storicamente valido. Immaginate quali atti potrà produrre uno studio notarile organizzato da un socio di capitale di dubbia rettitudine! … Per distorcere la realtà si mira a creare confusione tra il numero degli iscritti all’Ordine dei Farmacisti e il numero delle farmacie presenti sul territorio. Si puntualizzano le anomalie nella gestione dei tirocini, presenti in alcuni Ordini, e si lascia intendere che esistano anche in altri, come quello degli ingegneri e degli architetti, dove il tirocinio non è ancora obbligatorio. Anzi a questi ultimi, viceversa, gli si attribuisce una dubbia tutela sulla competenza pratica e professionale dei giovani iscritti. Un’altra accusa che si sente ripetere è quella d’inserire nelle commissioni degli esami di Stato persone che esercitano già la professione e pertanto questi soggetti hanno l’interesse di limitare l’accesso agli albi dei giovani professionisti. Tesi riportata in un articolo di Gian Antonio Stella apparso sul Corriere della Sera il 4 luglio 2011, con il titolo “Ordini e professioni, quando il merito dipende da famiglia e area geografica” in cui si legge tra l’altro “. come ha scritto Tito Boeri, «continuano ad inserire nelle commissioni d’esame (quelle che decidono chi si può iscrivere agli albi) persone che esercitano queste attività e che hanno tutto da perderci dall’entrata di professionisti più bravi e più competenti di loro».” Questo è il quadro che i “liberalizzatori” vogliono dipingere. Per quanto ci riguarda, va detto che per gli ingegneri non esiste tirocinio, e che il tasso di successo all’esame di Stato è dell’89%, tant’è che gli iscritti all’albo sono 228mila, con un aumento del 65% in dieci anni e meno del 10% di loro svolge la professione perché “ereditata” dai genitori. Ci piacerebbe sapere se ci sono le stesse unità di grandezza nei vertici nazionali di Confindustria. E infine si asserisce che la tariffa è una limitazione per la libera concorrenza anziché un riferimento per valutare il legittimo compenso che deve corrispondere a un livello necessario e fondamentale di risultato dell’attività professionale commissionata. Se si basa la concorrenza sul prezzo, va da se che scende anche il livello della prestazione. Le testimonianze dei danni per la collettività sono sotto gli occhi di tutti. Tutto il mondo del lavoro sta attraversando cambiamenti radicali ed è inimmaginabile che le professioni non subiscano analoghe trasformazioni. Le riforme sono necessarie, ma devono essere attuate con buon senso e soprattutto nell’interesse della collettività, della quale i professionisti sono parte integrante. In futuro, per giustificare l’entità dei compensi professionali, alla tariffa si dovrà affiancare il contratto che rende comprensibile come si articolano le prestazioni, i tempi e i modi necessari per raggiungere gli obiettivi commissionati. Un fatto doveroso visto che sono stati smantellati, uno dopo l’altro gli apparati di controllo dello Stato, consentendo a chiunque di autocertificare la bontà del proprio comportamento. Che cosa ha prodotto l’istituto dell’autocertificazione e quanto sia stato capillare e incisivo l’intervento della Magistratura nel reprimerne gli abusi, meriterebbe un’ampia trattazione. Abolita la burocrazia, uno spazio da colmare, a tutela della collettività, è proprio quello della certificazione delle competenze e delle attività professionali, e in questo gli Ordini possono svolgere un ruolo rilevante. Professional Day è l’occasione giusta per dimostrare che gli Ordini hanno proposte precise per superare i limiti imposti dalle attuali normative e per essere maggiormente utili alla collettività, più di quanto lo siano stati fino a oggi. I professionisti sono una parte sociale importante e una classe produttiva che va ascoltata e consultata. Anche noi, come i sindacati e gli imprenditori, vogliamo che il nostro Paese esca dalla crisi e offra maggiori opportunità di lavoro, anche perché noi non possiamo delocalizzare le nostre attività, così come hanno già fatto e possono continuare a fare i grandi gruppi industriali. Professional Day non sarà la giornata delle rivendicazioni economiche dei professionisti. È qualcosa di più, di nuovo e necessario. È innanzitutto la risposta a un pericolo, a una minaccia che mira a cancellare dal nostro Paese il valore della dignità del lavoro e istituzionalizzare, tramite decreti, certamente autoritari ma di dubbia utilità collettiva, il principio che con il denaro, non solo si può comprare un professionista disponibile al compromesso, ma si può esercitare direttamente qualsiasi attività professionale. Professional Day vuol essere un segnale di speranza e di orgoglio nazionale che viene dal mondo delle professioni, da quanti lavorano e diventano autorevoli, non perché hanno ereditato un solido capitale economico che gli ha dato il diritto di sedersi in uno o più Consigli d’Amministrazione, ma sono autorevoli perché, grazie ai sacrifici condivisi con i propri genitori, oggi svolgono attività che garantiscono alla collettività la salute, la sicurezza delle strutture e delle tecnologie, la giustizia, la tutela dell’ambiente e del paesaggio, la corretta informazione, la tracciabilità e la legittimità di atti e documenti che sono la storia e il futuro del nostro Paese. Si commette un grande errore a considerare la nostra società divisa tra “padroni” legati a Confindustria e “sfruttati” rappresentati dai sindacati. Due blocchi granitici in mezzo ai quali ci sarebbe la mediazione della politica. Si tende a dimenticare, fra le altre, una componente fondamentale che non è più una minoranza nello schema sociale ed economico della società postindustriale. Le professioni. Le professioni producono un giro d’affari di almeno 200 miliardi di euro ed hanno un peso economico pari a circa il 15 % del PIL. L’insieme di queste attività è il vero Made in Italy, la loro quotidiana sinergia garantisce al Paese l’innovazione, lo stile di vita italiano, l’avanzamento tecnologico e non ultima l’equità sociale. La loro esistenza dà la speranza che possa esistere la concreta possibilità, per chi non nasce nella ricchezza economica, che lo studio e la meritocrazia siano strumenti validi per un’affermazione sociale. È di meritocrazia che dobbiamo parlare, perché è questa che manca nel nostro Paese. Non può esserci giustizia sociale senza meritocrazia e meritocrazia è anche dare a ognuno il giusto compenso. Torna a proposito ciò che si afferma, in apertura, nel portale dell’Ordine degli Ingegneri di Cosenza: “L’Ordine è la disposizione delle parti in un totum in modo che ognuna di esse si trovi al posto esatto che è il suo, sicché ogni parte dia e riceva e tutte contribuiscano all’armonia del tutto . Alla base dell’Ordine c’è la Giustizia che rende ad ognuno ciò che gli è dovuto. Chi è ingiusto e non riconosce ad ognuno ciò che gli spetta, non fa opera di pace ma di disOrdine”. Nel Decreto del Governo, si maschera come liberalizzazione, ciò che in realtà e disordine sociale. Non dare il giusto valore al lavoro è disordine sociale e non è ammissibile che lo Stato se ne faccia promotore attraverso norme contraddittorie che lo alimentano. Vale la pena fare un esempio significativo. La lotta all’evasione fiscale è nell’agenda del Governo un punto prioritario. Almeno così viene detto! Uno degli aspetti più enfatizzati del cosiddetto decreto sulle “liberalizzazioni” è l’abolizione di ogni riferimento alle tariffe professionali. Questo intervento legislativo mal si coniuga con la lotta all’evasione fiscale e contrastata per lo più, specie nel caso delle libere professioni, dall’applicazione degli studi di settore, che sono sono uno strumento che il Fisco utilizza per rilevare i parametri fondamentali di liberi professionisti, lavoratori autonomi e imprese. La parte principale degli studi di settore consiste nella raccolta sistematica dei dati che caratterizzano l’attività e il contesto economico in cui opera il professionista per valutarne la capacità reale di produrre reddito. In questo senso c’è da chiedersi come possa essere “pesata”, dal punto di vista reddituale, la parcella del professionista se ogni prestazione è lasciata alla contrattazione del libero mercato che, per definizione, introduce numerose e incontrollabili variabili. È evidente che l’abolizione delle tariffe è un ulteriore elemento d’incertezza nell’applicazione degli studi di settore che, conseguentemente rende più inefficace l’uso dello strumento per la lotta all’evasione e all’elusione fiscale. Un uso corretto della tariffa professionale, invece, introdurrebbe elementi certi e puntuali che renderebbero chiaro e inequivocabile il controllo fiscale. In questo senso, gli Ordini potrebbero svolgere un ruolo fondamentale raccogliendo tutte le parcelle professionali dei propri iscritti, esercitando un controllo sia sulla corretta applicazione delle tariffe, sia sugli adempimenti contrattuali previsti per la tutela del cliente, per poi girare gli elenchi annualmente all’Agenzia delle Entrate per i controlli di propria competenza. In questo modo le tariffe non saranno un problema, ma la “soluzione di un problema”. L’aspetto più pericoloso del decreto “Liberalizzazioni” è rappresentato dalla norma che consente la presenza di un socio di capitale all’interno delle società di professionisti. Una distorsione delle attività professionali che ne snatura il ruolo fino a oggi affidatogli. Come già detto in precedenza, prende corpo il principio che con il denaro, non solo, come a volte avviene, si può comprare la coscienza del professionista, ma si può esercitare direttamente qualsiasi professione, semplicemente diventando socio di capitale in un’associazione di professionisti. Ci siamo trastullati in passato in ripetute discussioni sul conflitto d’interessi. Oggi il conflitto d’interessi e indicato, giustamente, come l’ingegnerizzazione della corruzione, un costume che consente di gestire il potere. Può succedere ad esempio che un gruppo finanziario svolga la tripla funzione di produttore di rifiuti, di laboratorio di analisi e di smaltitore. Ci fa rilevare il Chimico Dott. Gabriele Ansaloni, a pag. 38 di Italia Oggi dell’8 febbraio 2012 “. Sappiamo che lo smaltimento può avvenire mediante conferimento in termovalorizzatori e in discariche di varia classificazione, a seconda della natura del rifiuto e quindi il prezzo pagato varia in funzione di ciò. Le truffe hanno sempre alle basi analisi di comodo rilasciati da laboratori-imprese legate in maniera più o meno occulta a produttori di rifiuto o a gestori di discariche e inceneritori .”. A questo punto sorge una domanda: Perché i vertici di Confindustria anziché spendersi per la soluzione dei problemi che incontrano i loro associati si sono così accaniti sulla riforma delle professioni e sull’abolizione del valore legale del titolo di studio? Se naufraga la speranza dei giovani professionisti, degli ingegneri, degli avvocati, dei medici, dei commercialisti e di tutti coloro che hanno indirizzato nel lavoro professionale la loro realizzazione umana ed economica, naufraga il Paese e con esso la classe politica e la classe imprenditoriale. Penso che la classe imprenditoriale e artigianale della Calabria, del Mezzogiorno e di gran parte del Paese, non ritenga che le tariffe professionali siano un ostacolo alla propria competitività, né ha come priorità la sua riconversione o partecipazione in società di professionisti. Son ben altri i problemi che devono affrontare gli imprenditori nelle nostre realtà! L’accesso al credito degli istituti bancari, l’insolvenza delle pubbliche amministrazioni, la lotta alla criminalità organizzata, la mancanza di infrastrutture, l’inefficienza e l’assenza di programmazione dei governi nazionali e locali, e così di seguito. Ma analizziamo qual è il reddito pro-capiate dei professionisti, anche per smentire con dati reali che non possono essere considerati una casta di privilegiati. Gli ingegneri che svolgono la libera professione hanno in Italia un reddito medio di 37.500? ma, nella provincia di Cosenza i 1.500 che svolgono la libera professione hanno un reddito medio di 15.900 ?. Simile quello dei 700 Architetti liberi professionisti cosentini che hanno un reddito medio di circa 16.000 ?. I Commercialisti liberi professionisti sono 500 su 875 iscritti all’Ordine, con un reddito medio di 21.000 ?. Nonostante sia evidente che la concorrenza è enorme e che i redditi siano inadeguati, giovani e meno giovani continuano a sperare e a lottare per il loro futuro e per quello della terra in cui vivono. E c’è chi li chiama bamboccioni e chi li chiama lobbisti! È imbarazzante l’insensibilità della classe politica verso queste istanze. Ci aspetteremmo almeno dai nostri parlamentari un’attenzione diversa. Con questi redditi o siamo davanti categorie di evasori o è evidente che siamo davanti ad un’emergenza sociale che va affrontata con la necessaria urgenza e attenzione. La nave affonda e i capitani si limitano a osservare tenendosi al riparo dei loro privilegi, dimostrando ancora una volta tutta la loro inadeguatezza e irresponsabilità. In questo vuoto istituzionale, Professional Day sarà l’occasione per realizzare, nella nostra regione e nella nostra provincia, una nuova rete sociale che, grazie alle esperienze e alle competenze dei professionisti, potrà dare qualificati contributi e nuovi stimoli sulle questioni che riguardano le nostre realtà. Ma l’obiettivo principale è dare risposte alle questioni condivisibili proposte dalle “liberalizzazioni”; la trasparenza nella formulazione dei contratti e nella quantificazione dei compensi, la certificazione delle competenze, l’inserimento professionale, la realizzazione di associazioni multidisciplinari. Vogliamo difendere la qualità e la dignità del lavoro delle attività libero professionali, affinché in futuro non si trasformino in una nuova forma di lavoro dipendente, ma continuino a essere svolte nel rispetto delle norme deontologiche, e là dove necessario dell’etica della sostenibilità. Come e chi vigilerà sulla deontologia di un eventuale socio di capitale resta un interrogativo. “Liberalizzatori” rispondete!
*Presidente Ordine degli Ingegneri di Cosenza

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