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di SERGIO GENCO*
Gli ultimi dati del report della Banca d’Italia, già vecchi d’un anno, ci consegnano la fotografia di un vero e proprio collasso sociale ed economico della Calabria.
– Crescita esponenziale dei livelli di disoccupazione e ulteriore perdita di posti di lavoro per 14.000 unità che vanno ad assommarsi ai 64.000 perduti dall’inizio della crisi;- Difficoltà strutturale in tutti i settori dell’economia, con un tracollo del settore delle costruzioni;
– Riduzione drastica dei livelli di esportazione dei beni prodotti in Calabria, che non trovano collocazione nel mercato nazionale e internazionale;
– Caduta dei consumi delle famiglie ed erosione massiccia del risparmio;
– Volumi irrisori dell’investimento privato, a cui fa da contraltare un’ulteriore riduzione degli investimenti pubblici, in modo particolare nelle infrastrutture e nelle opere pubbliche;
– Aumento, in tutti i territori, del disagio sociale e dei livelli di povertà;
– Non lavorano e non studiano il 37% dei calabresi in età tra i 15 e i 35 anni. Una situazione di contesto che ha determinato una crescita del Pil pro-capite e di quello regionale che si attesta ad uno striminzito 0,2%. Dati già vecchi si diceva, perché la crisi sta continuando a passi lunghi a disarticolare ulteriormente l’insieme dell’apparato produttivo calabrese: Confesercenti e Federalberghi, nell’ultima nota sui flussi turistici regionali, indicano una caduta delle presenze dal 30 al 50% che, se non invertito, determinerebbe una crisi senza precedenti dell’intero settore turistico, il solo che negli anni riusciva, seppur per alcuni mesi, a dare una risposta occupazionale e di reddito. E ultima situazione, in ordine cronologico, la decisione di Maersk di abbandonare il Porto di Gioia Tauro, che ha determinato la richiesta, da parte di Mct, di licenziare 467 lavoratori portuali, che determinerà una ulteriore riduzione nell’attività produttive dell’indotto, cancellando una volta per sempre la possibilità non solo di rafforzare il transhipment sul porto gioiese, ma ridimensionandolo a una dimensione regionale e bloccando, di fatto, qualsiasi politica di crescita da innestare alla realizzazione della logistica e della intermodalità. Avremmo l’azzeramento dell’unico motore di crescita della nostra regione, quello che fino ad oggi ha contribuito a determinare lo 0,50% del Pil calabrese. Sarebbe questo un colpo tremendo che determinerebbe una accelerazione vertiginosa della crisi economico-sociale, non solo per i comuni della Piana e nel Reggino ma per l’insieme della nostra regione e per lo stesso Mezzogiorno che vedrebbe colpita e affossata l’unica dimensione produttiva di eccellenza a cui agganciare le politiche di crescita e di sviluppo. C’è da chiedersi dove è la politica, di cosa si interessi, ma la stessa domanda devono porsela le forze sociali, i rappresentanti delle istituzioni: i consiglieri regionali, la deputazione nazionale tutta, la giunta regionale. Come è possibile che in una situazione di questa natura non ci sia un sussulto da parte delle forze politiche e sociali, cosa vogliamo rappresentare e cosa siamo finiti per rappresentare se tutto ciò può passare con una scrollata di spalle, facendo finta di poter continuare come se nulla fosse, rischiando di consegnare una intera regione al disastro e alla rassegnazione. Come è possibile che che in questa martoriata regione, l’unica capacità di reazione organizzata allo stato delle cose provenga solo dalla magistratura, o da uomini di chiesa come don Pino de Masi e come don Vattiata, o da imprenditori come Rocco Mangiardi e il resto delle forze, delle energie che pur ci sono, continuino a restano quasi annichilite, in una situazione di perenne tattica, dei “vorrei ma non posso”, rincantucciate nelle piccole convenienze senza slancio. C’è davvero da chiedersi se non ora quando una capacità di reazione, un sussulto. I sindaci della Piana hanno rotto gli indugi e l’altro giorno hanno convocato la riunione dei Consigli comunali, dandosi appuntamento per giorno 30 giugno davanti il varco doganale, a sostegno del Porto di Gioia Tauro e per dire no ai licenziamenti. Questo appello non può cadere nel nulla ma richiama tutti noi alle proprie responsabilità. I sindaci, le Comunità della Piana non possono essere lasciate sole a condurre questa battaglia in difesa del lavoro e dello sviluppo, è necessario che ogni uno faccia la propria parte, dire da che parte sta in questa vertenza: lo facciano i consiglieri regionali, lo faccia la deputazione nazionale, lo facciano i partiti politici e i propri rappresentanti regionali, lo facciano le associazioni imprenditoriali, lo facciano le organizzazioni sindacali. Lo si faccia non solo con i comunicati di sostegno, ma organizzando la presenza dei cittadini e dei lavoratori a questa iniziativa lanciata dai sindaci. La Cgil, a partire come sempre dalla Camera del Lavoro Territoriale della Piana, ci sarà con tutte le sue articolazioni territoriali, regionali confederali, e di Categoria perché oggi la questione del Porto rappresenta la situazione dell’intera Calabria e perché vogliamo che il prossimo incontro romano del 5 di luglio, non discuta sugli esuberi da tagliare, ma degli impegni da assumere e degli investimenti da realizzare. Di come rilanciare l’attività complessiva del porto attraverso il transhipment, assieme alla logistica e alla intermodalità, superando l’attuale situazione di crisi, e imponendo a Mct, che in questi anni ha molto preso e avendo, di fatto, esercitato una azione di monopolio sul Porto, di recedere dalla decisione di licenziare 467 lavoratori, e nel contempo di esigere dal governo regionale, da quello nazionale da RFI, non vuote parole, non nuovi proclami, ma impegni precisi, esigibili, verificabili a favore del Porto e della stessa Calabria.

*segretario generale Cgil Calabria

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