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di GIUSEPPE BALDESSARRO

FACEVA impressione ieri mattina vederle nel piazzale del Palazzo di Giustizia della città. Faceva impressione vederle organizzate con gli striscioni e il cuore gonfio di rabbia. Quelle donne che protestavano per i processi in corso contro i loro uomini avevano il cuore gonfio di rabbia. Dicevano che le inchieste contro i loro mariti, figli, padri e fratelli sono ingiuste, costruite ad arte. Dicevano che ci vogliono processi giusti e che i loro cari non possono pagare con anni e anni di carcere. Una protesta tranquilla.In un paese democratico ognuno è libero di manifestare per quello in cui crede. E tuttavia quella protesta dice diverse cose. Intanto dice che si tratta di un inedito assoluto. Certo in altre occasioni singole famiglie si erano lamentate dei processi, anche manifestando. Ma mai era accaduto che famiglie così diverse, così distanti anche geograficamente, si organizzassero tutte assieme. Una cosa pianificata, studiata, come le frasi stampate non su cartelloni improvvisati, ma su striscioni preparati con cura. Segno che qualcosa è cambiato in Calabria. Ad esempio, negli ultimi anni sono fioccate pesanti condanne contro boss e affiliati. Le maglie della legge si sono strette. Ma la protesta è anche un segnale che si sta aprendo un “movimento contro” dai tratti inquietanti su cui riflettere. La manifestazione non è piaciuta a noi (ma questo non interessa molto), ma non è piaciuta a molti altri, e i molti a cui ci si riferisce non sono solo i magistrati. Non è piaciuta ad avvocati, agli uomini delle forze dell’ordine, agli avvocati, ai dipendenti del Cedir, alla gente comune che questa città e questa provincia ha il diritto di viverla al pari di quelle donne, e senza ‘ndrangheta. Senza insomma essere costretta a piangere le vittime innocenti della violenza mafiosa. Senza avere paura di uscire per strada e senza averne per i propri figli. Senza dover rinunciare a fare impresa e a creare ricchezza per sé e per gli altri in un libero mercato che sia libero davvero. Tutti diritti che stanno quantomeno sullo stesso piano di chi ha il sacrosanto diritto ad un processo giusto. E da questo punto di vista quelle donne possono stare tranquille. I loro mariti, padri, fratelli e figli sono stati giudicati già tante volte e tante altre saranno ancora giudicati prima di arrivare a una condanna definitiva. E’ vero, i pm fanno le inchieste e rappresentano l’accusa, ma quelle stesse inchieste vengono valutate dai Giudici per le indagini preliminari, dai Tribunali della Libertà, dai Giudici delle udienze preliminari. E poi ancora dai Tribunali di primo grado, dai giudici d’appello e infine dai magistrati della Cassazione. Non uno, ma diversi giudici valutano prove e fatti, indizi e riscontri. Gli uomini di quelle donne, sono difesi da bravissimi avvocati che mettono sul tavolo della giustizia ogni elemento possibile a loro discolpa. Non si capisce dunque cosa possano temere. Certo dire che la giustizia è infallibile sarebbe mentire. D’altra parte alcuni errori che raccontiamo sui nostri giornali lo dimostrano. Nonostante tutto, la giustizia italiana è forse tra le più garantiste al mondo. Dunque stiano tranquille le donne degli imputati. Non si tratta di un giudice, ma della giustizia nel suo complesso. La rabbia è comprensibile. Ma ieri guardando quella rabbia mi è venuto in mente un libro che mi è stato regalato martedì mattina. Si intitola “Dimenticati” ed è stato scritto da Alessio Magro e Danilo Chirico. Quel libro parla di tanti innocenti ammazzati dalla ‘ndrangheta che non hanno mai avuto giustizia e che pure avevano madri, mogli, sorelle e figli. Loro avrebbero più diritto di altri a manifestare. Stiano dunque tranquille quelledonne: se i loro parenti sono innocenti torneranno a casa, come è giusto che sia. Se sono colpevoli sconteranno la loro pena, come è giusto che sia.

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