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di PIETRO MANCINI
I nuovi interventi per il Mezzogiorno, annunciati venerdì da Giorgio Napolitano? Dal punto di vista politico, confermano che il capo dello Stato, determinante nella caduta di Berlusconi e nell’ascesa a Palazzo Chigi di Mario Monti (con il banchiere Passera superministro), dopo la sortita sui diritti dei figli degli immigrati, intende continuare a svolgere un ruolo centrale, nel dibattito politico, sollecitando al “suo” governo una serie di provvedimenti, da concordare, preventivamente, con il Colle. Forte della popolarità, che gli assicurano i sondaggi e il contatto diretto con i cittadini, il più recente alla prima del teatro alla Scala di Milano, nonno Giorgio intende giocarsi le sue carte, in vista dell’elezione del nuovo capo dello Stato, prevista nel 2013. E, stanco di predicozzi scontati (“Bisogna operare per il bene comune”. “Costruire è meglio di distruggere”…), l’esperto inquilino del Quirinale non esita- libero dagli ostacoli, che erano frapposti dall’esecutivo di Silvio, e con la Lega all’opposizione- a travalicare, spesso, il ruolo, definito dalla Costituzione. Che stabilisce, con chiarezza, che la nostra non è una Repubblica presidenziale e che il suo primo cittadino “è politicamente irresponsabile, in quanto la responsabilità politica degli atti presidenziali è assunta dai ministri, che sono tenuti ad apporre la controfirma”. Nel merito, il nostro auspicio, sentito, è che i risultati smentiscano l’asserzione del ministro Fabrizio Barca, figlio di un ex deputato del Pci, Luciano, amico di Napolitano, secondo il quale “i sussidi e i vantaggi fiscali al Mezzogiorno, sinora, hanno attratto gli imprenditori peggiori, quelli che prima incassano e poi scappano”. Nonostante gli 8 miliardi di euro stanziati in 9 anni, la Campania non solo non ha migliorato le condizioni generali, ma le ha addirittura peggiorate, il prodotto interno lordo è calato e la disoccupazione è aumentata. Nella sua regione, Napolitano- già leader storico del Pci di Togliatti e Berlinguer, influente deputato, europarlamentare e ministro dell’Interno con Prodi premier – ha subìto, in silenzio, l’ascesa di Bassolino. Pur detestando don Antonio, non si è mai opposto al sistema di potere clientelare del governatore della Campania, limitandosi a far sapere, nel luglio del 2005, che condivideva solo alcune delle critiche, molto documentate, rivolte da Salvi e da Villone, della sinistra interna dei Ds, sulla «questione morale» e sugli sprechi delle pletoriche, clientelari e fallimentari giunte di centrosinistra nelle regioni meridionali. In un momento di forte preoccupazione delle famiglie italiane meno abbienti e del ceto medio, colpite dalla dura stangata dei successori del Cavaliere e di Tremonti, gli amministratori del Sud devono operare – se non ora, quando ?- una netta inversione di tendenza rispetto al passato. Non occorre indossare la camicia verde dei leghisti del senatùr Bossi per ammettere che i fondi, statali ed europei, sono stati spesi malamente, senza controlli efficaci, con sistemi clientelari, spesso meritevoli di interventi giudiziari. Le istituzioni, sotto il Garigliano, si sono rivelate carenti, non impermeabili agli inquinamenti dei poteri illegali, con personale inidoneo e con una classe politica non di grande livello, bensì guidata da una cultura assistenziale, che ha aggravato i problemi. Oggi, allo scopo di non scatenare una ennesima “guerra tra poveri” e di non alimentare le proteste dei settori, prevalenti nel governo e nella maggioranza, non certo entusiasti di erogare ulteriori mega-somme a quanti, sinora, li hanno sprecati, il maggiore impegno va profuso nell’isolamento e nella sconfitta della criminalità. A Monti, a Passera e a Napolitano, “Lord protettore” dell’esecutivo di emergenza, autorevole e con la grande stampa del Nord, schierata al suo fianco, Caldoro, Scopelliti, Vendola e Lombardo presentino non gli ennesimi, fumosi libri dei sogni, ma progetti concreti di tagli del dispendioso plotone del sottogoverno, degli sprechi nella sanità, dei baby pensionati, di risanamento delle città più degradate, della istituzione di un ente unico per lo sviluppo, che non crei attese eccessive e nuovi carrozzoni clientelari, tipo “Sviluppo Italia”, fallita dopo essere stata trasformata in “Sviluppo Parenti”. Insomma, all’indomani delle recenti, clamorose inchieste in Calabria, che hanno portato all’arresto di politici e magistrati, accusati di collusioni con la ‘ndrangheta- ovviamente, da dimostrare nelle sedi giudiziarie- la risposta più incisiva devono fornirla gli amministratori. Ci sono, nella nostra regione, politici chiacchierati e compromessi, per i loro legami con settori non puliti della società, ma ci sono anche politici perbene, che non chiedono i voti ai picciotti delle ‘ndrine. Sarebbe un risultato positivo se la maggioranza e l’opposizione dell’attuale Consiglio regionale concordassero su un punto centrale: la Calabria ha urgente necessità di un salto di qualità, di un profondo rinnovamento della classe dirigente, con donne e uomini impegnati, in modo serio, per rendere un servizio alla regione e non per incassare illeciti arricchimenti e consensi non limpidi. Il rispetto della stampa, nazionale e locale, e dell’opinione pubblica gli amministratori possono e debbono pretenderlo, ma non con generiche e commosse enunciazioni di soldidarietà ai colleghi ammanettati- i cui legali faranno valere le posizioni degli inquisiti nei processi- bensì operando con correttezza e trasparenza. E dimostrando che, in Calabria, lo Stato non è un’entità astratta, ma esiste ed è presente, nella vita quotidiana dei cittadini e sa garantirne i diritti e rispettarne i doveri. Questa assenza di organi credibili, rispettati dalla coscienza popolare, è il vero, grande problema della Calabria e del Mezzogiorno, come ha dimostrato il tutt’altro che unanime consenso che, in Campania, ha riscosso l’arresto del boss della camorra, Michele Zagaria, tra molti suoi concittadini di Casapenna e pure tra alcuni religiosi. Pertanto, in un periodo di vacche magre, i governatori del Sud dicano a Mario Monti e ai ministri: egregi professori, dateci pure meno soldi e noi vi dimostreremo che, riformando le nostre istituzioni e rinnovando la politica, otterremo, finalmente, risultati migliori. In primis, accentuando tutti gli sforzi e le migliori energie, nostre e della società civile, sinora assente e disimpegnata, per sconfiggere il cancro della criminalità mafiosa, camorrista e ‘ndranghetista. E ci schiereremo al fianco di uomini e donne coraggiose, come Lea Garofalo, uccisa dai boss per aver sfidato l’omertà di una spietata cosca di Cutro, e Maria Avolio, vedova del commerciante Lucio Ferrami, eliminato per aver rifiutato di pagare una tangentona al sanguinario clan Muto di Cetraro.

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