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di GIOVANNI IUFFRIDA
La carta stampata, e in particolare “il Quotidiano”, che si fregia di una direzione importante e di collaborazioni dello spessore culturale indiscutibile – personalità stimate tra le più rappresentative della Calabria migliore -, svolge un ruolo sociale importantissimo. E le pagine del nostro giornale potrebbero alimentare un movimento delle coscienze, soprattutto alla vigilia della visita di Benedetto XVI, necessario per una rivoluzione moderata, e non più prorogabile, della regione. È, questo, un dovere nei confronti del futuro di tutti. Un Papa “eletto”, cioè scelto, soprattutto con lo scopo di moralizzare la Chiesa al suo interno, può offrire, attraverso la sua visita a Lamezia programmata per una data dalla sequenza numerica fatidica (9/10/11), un’occasione unica per avviare un reale processo di moralizzazione di una regione martoriata dalla mafia e dalla politica con essa collusa, speculari di una realtà storicamente doppia, che accomuna antica bellezza del paesaggio a una brutalità purtroppo ancora viva. Una realtà in cui è difficile distinguere la mafia dalla politica, fatta, in tutta la sua articolata poliedricità, di antimafia di facciata. Se si seguono dichiarazioni, fiaccolate, manifestazioni culturali che si organizzano sull’Aspromonte come a Polsi, tutti in Calabria sarebbero campioni di antimafiosità, soprattutto i politici. Salvo poi, per esempio, registrare le dichiarazioni del procuratore della Repubblica di Lamezia, secondo il quale almeno il 20% della popolazione sarebbe in varie forme contigua alla mafia, e chiedersi come mai, poi, tutti gli eletti alle varie competizioni elettorali non risultino (miracolosamente) collusi con la ‘ndrangheta. Dato che comunque dimostra la forte condizionabilità della politica, non sempre facilmente distinguibile dalla mafia. Debolezza della politica e centralità della rete di relazione personale e della famiglia d’origine del candidato sono due caratteri che emergono in maniera molto nitida dall’analisi dei fattori che più di altri hanno influito sulla condizione di assoggettamento del territorio calabrese, in cui è prevalso il percorso di trasformazione dei “partiti dei cittadini” in “partiti del mercato e degli imprenditori”. Di sicuro, la visita del Papa teologo è un’occasione unica per chiedergli di imprimere alla società civile calabrese la stessa forza di cambiamento che sta impiegando all’interno della Chiesa, con un coraggio senza precedenti. C’è la convinzione che attraverso l’aiuto di Benedetto XVI possa avviarsi un reale processo di “orizzontalizzazione” e spersonalizzazione del potere, recidendo il cordone ombelicale del frutto malefico nato dall’abbraccio tra mafia e politica, in cui si annidano serpenti travestiti da colombe, e che richiede, oggi più che mai, il dovere della Chiesa di richiamare l’attenzione su questa emergenza sociale. Del resto non c’è bisogno di ulteriori conferme, se negli ultimi cinquant’anni, la classe dirigente locale ha voltato le spalle alla Calabria: depuratori in tilt, aggressione edilizia indiscriminata, sindaci chiamati in causa a titolo colposo per diverse contravvenzioni ambientali, dimostrano, inequivocabilmente, che si tratta di una categoria ad alto rischio di devianza. L’amministrazione della giustizia penale, che si sostituisce alle amministrazioni ordinarie del territorio, offre il quadro chiaro dell’attuale condizione della classe dirigente locale, che determina all’interno della “questione meridionale” una più specifica “questione calabrese”, la quale, al di là e al di sopra di tutti gli altri aspetti della depressione economica, è riconducibile essenzialmente all’inadeguatezza della politica, il cui completo rinnovamento, in termini di “guida” nelle modalità di soddisfacimento dei bisogni, costituisce la precondizione per ogni ipotesi di sviluppo e soprattutto di progresso. Verrebbe comunque voglia di dire: “non si sa a quale santo votarsi”. Ma da credenti, c’è da confidare nell’alto valore che assume la prossima visita di Benedetto XVI a Lamezia. I mezzi di comunicazione non dovrebbero soltanto registrare quanto accade e accadrà ai margini di questo evento; dovrebbero aiutare a preparare anche le coscienze, non solo attraverso il modo di porre l’informazione ma anche e soprattutto per stimolare riflessioni sulla necessità di prendere la giusta distanza dalla politica contemporanea. Cosa non più prorogabile, alla luce di ciò che si registra quotidianamente in termini di costi, di disamministrazione del territorio e di corruzione. C’è, in altri termini, la necessità di “mettere a profitto” la ormai prossima visita di Benedetto XVI chiedendogli pubblicamente di guardare al di fuori dei recinti architettonici e umani della Chiesa per aprirsi alle necessità laiche, che significa: urgenza di respingere tutta la politica, collusa con la mafia, causa dell’arretramento etico ed economico della Calabria. Chiedere pubblicamente questo comporta, senza dubbio, costi personali altissimi. Chiedere al Papa di condannare, e quindi non perdonare, questa collusione di fatto, non è cosa semplice perché significa mettersi contro i poteri forti: la stessa mafia, la politica e le varie forme di massoneria che stritolano chiunque sia fuori dai sistemi clientelari. È questo un rischio che nessuno forse vuole correre. Ma c’è almeno la necessità di coltivare il sogno che la Calabria, attraverso le sue voci più autorevoli, possa promuovere un’azione di rinnovamento chiedendo al Papa di ammonire non solo la mafia – cosa scontata e facile – ma soprattutto la politica calabrese, che è sempre più difficile distinguere dalla prima per comportamenti e risultati sociali. Una posizione di questo tipo avrebbe una forza rivoluzionaria sulle coscienze: unica forma di rivoluzione possibile e necessaria, in questo momento. Del resto, i lettori del “ Quotidiano” non fanno certamente alcuna fatica a definire l’immagine reale della regione, compresa quella della finzione della politica che declina senza pudore il “bene comune”, assunto come locuzione priva ormai di qualsiasi contenuto reale. È sufficiente sfogliare le pagine di qualsiasi quotidiano regionale per poter sommare la disamministrazione del territorio alla corruzione e alle politiche clientelari, di centrodestra e di centrosinistra, indifferentemente. Che cosa bisogna attendere per poter definire la Calabria la vergogna più umiliante d’Italia? In Calabria il pendolo oscilla da un consiglio regionale classificato come l’ultimo a livello nazionale per impegno istituzionale ai consigli comunali, dove l’inesistenza delle opposizioni politiche è indice di alta complicità e immoralità; per finire agli incarichi a parenti e amici conferiti da sindaci presentati dalla stampa come colombe. Quale fondo di barile bisogna raschiare per svegliare la coscienza dei calabresi, ammesso che ne abbiano ancora una? C’è soltanto da augurarsi che le coscienze dei calabresi non siano tutte confuse tra quelle montagne di spazzatura che ormai caratterizzano le strade dei centri urbani della regione.

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