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di GIUSEPPE DE BARTOLO
E’ stato presentato in tutta Italia il Dossier statistico sull’immigrazione straniera curato dalla Caritas con il titolo “Oltre la crisi, insieme”. Questo studio, come quelli degli anni scorsi, è un’accurata fotografia di un fenomeno che è diventato ormai un tratto strutturale della realtà italiana e che sta marcando, con colorazioni sempre più nette, la geografia etnica dell’Italia. Nel corso di questi ultimi 150 anni l’Italia è passata dalla grande emigrazione alla grande immigrazione. Nel 1861 su 22 milioni di residenti gli stranieri erano appena 1 ogni 25 abitanti ed avevano posizioni sociali di tutto rilievo. In quel periodo, al contrario della Francia, che incentivava l’immigrazione perché preoccupata per il suo declino demografico, la cosiddetta “peste blanche”, e della Germania che favoriva l’immigrazione per sostenere il suo sviluppo, per l’Italia iniziava il grande esodo durato oltre un secolo con 30 milioni di espatri. Nel 1951 gli stranieri in Italia erano una cifra modestissima. Dal 1991 il ritmo degli ingressi è stato via via più intenso fino a raggiungere la cifra di 4 milioni 570mila al 31 dicembre dello scorso anno, pari ad un’incidenza del 7,5%, ben 52 volte in più rispetto al 1861! Oggi si stima che il numero degli stranieri in Italia sia di 5 milioni, rappresentando l’8,2% della popolazione, 1 ogni 12 abitanti sono stranieri, concentrati per il 61% nel Nord, per il 25% nel Centro e per il 13% nel Sud Italia. Ricordiamo che l’immigrazione straniera attenua, anche se parzialmente, il forte malessere demografico della popolazione italiana, malessere che ha nell’invecchiamento della popolazione e nella bassa fecondità delle donne italiane i suoi fattori più evidenti. Gli stranieri hanno una struttura per età molto giovane (età media di 32 anni contro i 44 anni degli italiani), si caratterizzano per la forte incidenza dei minori e delle persone in età lavorativa (78,8%), gli ultra 65enni superano di poco il 2% contro il 20% della popolazione italiana. Per le famiglie italiane dove le donne lavorano e per la fascia consistente di persone non autosufficienti l’apporto delle badanti e delle collaboratrici familiari, che secondo stime ammonterebbero a circa 1,5 milioni, è fondamentale. Bisogna osservare che oggi il sistema pensionistico si regge anche grazie agli oltre 7 miliardi annui di contributi pensionistici pagati dagli immigrati; ma bisogna anche considerare che nel prossimo futuro questo tratto del sistema del welfare entrerà a sua volta in crisi a causa dell’aumento del numero di coloro che avranno bisogno di assistenza e con l’entrata nel sistema pensionistico degli stessi immigrati. La crisi economica sta toccando pesantemente anche gli immigrati, pregiudicando finanche la loro permanenza in quanto costretti, se disoccupati, o a rientrare nei paesi di provenienza o a entrare nello stato di irregolarità. Il Dossier evidenzia però che nonostante l’attuale congiuntura sfavorevole il dinamismo imprenditoriale degli immigrati non si è arrestato, indice inequivocabile di una volontà di molti immigrati di crearsi un futuro nel nostro Paese. Positivi sono molti indicatori di integrazione: i minori figli di immigrati sono 1 milione; le persone di seconda generazione sono 650mila e 709 sono gli iscritti a scuola nell’anno scolastico 2010-2011. Non mancano tuttavia gli indicatori di disagio che riguardano il livello abitativo e numerosi casi di discriminazione. In una fase di crisi economica qual è quella che stiamo vivendo può l’immigrazione – viene sottolineato dal Dossier – essere di aiuto? La risposta è ancora positiva perché, come sottolineato in precedenza, la popolazione immigrata è molto giovane, aiuta ad attenuare il nostro malessere demografico, versa annualmente contributi previdenziali non banali, è lontana dal pensionamento, è fondamentale per il nostro welfare familiare e, nonostante la crisi, sta creando posti di lavoro.

*docente di Demografia all’Unical

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