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di MARIO CAMPANELLA
Pur avendo lasciato la politica attiva dal momento in cui sono stato nominato in un organismo di garanzia che appartiene a tutti non posso certo nascondere di avere avuto un ruolo preminente nella comunicazione essendo stato il portavoce del Pdl nella campagna elettorale regionale . Sono, quindi, prezioso custode di momenti e di incontri all’insegna del confronto tra le forze politiche che, successivamente, hanno deciso di sostenere Giuseppe Scopelliti individuando in lui la figura migliore per sovvertire l’andamento statico della Regione. Non nascondo che mi sarebbe piaciuto continuare a lavorare in quel solco, ma non mi è stato possibile, soprattutto per tentare di collaborare alla costruzione di una cultura bipartisan della comunicazione che privilegiasse le peculiarità e ottimizzasse le risorse di un territorio destinato allo scontro perpetuo e alla staticità burocratica. Ho apprezzato alcune parole dell’ex governatore Loiero sulla qualità degli interventi non sempre possibile in una Regione dove Kaos ancora regna sovrano e non si intravede nemmeno l’ombra di Crono e non certo per responsabilità di chi la governa . Il presidente Scopelliti sta profondendo una passione notevole ed un impegno coriaceo nel processo di cambiamento ed anche la scelta generazionale di rinnovamento dirigenziale (ancora presto per essere valutata) è, comunque, il modo per poter affidare ad un segmento anagrafico sempre espulso dalle dinamiche decisionali la possibilità di dimostrare quanto vale o quanto non vale. Ho l’impressione, però, che si corra il rischio sulle grandi questioni di non uscire dalla logica dell“ereditarismo” per la quale il male di oggi è tutto frutto del passato così come le deficienze di Loiero erano tutte di Chiaravalloti. Tentare questa strada, che ancora una parte del centrosinistra insegue, sarebbe un errore che Scopelliti non credo commetterà, perché l’assunto di per se non è sbagliato, ma va inteso in una considerazione più ampia e cioè che il regionalismo ha fallito, miseramente, sin dalla sua costituzione e che se si eccettuano i primi, entusiasmanti anni il prosieguo è stato dominato dall’incertezza, dai boati iniziali e poi dalle disillusioni. L’età e la competenza del governatore sono un buon auspicio per ipotizzare che ci sia una differente valutazione nell’azione amministrativa e nelle ricadute politiche, abbandonando la tentazione di perseverare nello scaricabarile determinato anche dalla scarsa indulgenza di chi vuole dare giudizi sull’operato del nuovo esecutivo dopo soli pochi mesi dal suo insediamento. La politica, specie oggi che è più intesa alla tattica che alla strategia, è spesso impietosa con gli errori commessi: non dà tregua a chi sottovaluta il rischio di alcune operazioni proiettate nel futuro. Perché un conto è scegliere insieme alle opposizioni la strada della collaborazione laddove si inseriscono quadri ed emergenze complesse, un altro è allevare inconsapevolmente i propri futuri avversari, preferendo più guardare all’immediato che al futuro non prossimo. Debbo confessare di essere rimasto colpito e non poco dalla designazione del prefetto Morcone a candidato a sindaco di Napoli per il Partito Democratico. Si tratta della stessa persona che il Governo ha nominato quale responsabile dell’agenzia confiscata ai mafiosi, con sede a Reggio Calabria. Nulla da eccepire, certo, sulla legittimità della scelta e sul pieno diritto del candidato, la cui figura viene evidentemente interpretata come il segno di un’azione di priorità nella lotta alla camorra in una città straordinariamente bella e complessa che viene amministrata da un ventennio dalla sinistra. L’aspetto che fa discutere, però, è un altro: si nomina un prefetto per un incarico così delicato che comprende anche flessibilità nelle assunzioni e nella scelta dei collaboratori, alta visibilità e potere di primo rango e lo si ritrova nell’arena politica, addirittura con lo schieramento avverso. La debolezza storica del centrodestra italiano, e di quello calabrese in particolare, è stata la sua incapacità di cooptazione reale di un mondo terzo e strutturato nelle accademie e nelle professioni e la valorizzazione delle risorse endogene. Un po’ com’è accaduto al Pd che, però, puoi ancora contare su una preziosa riserva intellettuale di stampo comunista e su un coacervo di classe dirigente che, almeno in parte, non è da cestinare. Nel gioco delle alleanze e dei tatticismi questa scelta inconscia di sottomettersi alla logica sindromica di Stoccolma potrebbe risultare fatale. In un Paese e in una Regione dove il trasformismo è un modus operandi consolidato si rischia di confondere il leale progetto di collaborazione con le forze progressiste con un tafazismo tanto inconsapevole quanto pernicioso, in grado di fortificare avversari e candidati oggi chiaramente sotto traccia ma pronti a scendere in campo il 2015 contro Scopelliti. Il futuro anche quando sembra lontano si costruisce con le ore del presente diceva Anthony Burgess.

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