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di ETTORE JORIO
Con il voto di fiducia del 3 marzo sulla ipotesi legislativa riguardante il federalismo municipale si va verso l’approvazione del relativo d.lgs. (292/11), nonostante il pari e patta conseguito nella bicameralina. Con esso viene definita la finanza pubblica locale e, quindi, la struttura a regime transitorio e definitivo delle entrate dei comuni. Dunque, due fasi. Quanto alla fiscalità municipale: La prima (art. 2), che comprende il periodo 2011-2013, insedia in favore dei comuni: a) la compartecipazione del 30% delle imposte sui trasferimenti immobiliari (registro, ipotecaria, catastale, ecc.); b) la devoluzione del gettito Irpef sui redditi fondiari e di quello afferente l’imposta di registro e di bollo sui contratti di locazione; c) la compartecipazione all’Iva; d) la devoluzione di una quota del gettito della cedolare secca sui canoni di locazione ad uso abitativo; e) la possibilità, infine, di incrementare l’addizionale Irpef, limitatamente a quei comuni ove non sia già in vigore l’aliquota massima dell’0,4%, che la quasi totalità dei comuni calabresi hanno già abbondantemente superato, sino ad arrivare addirittura al doppio (per esempio: Cosenza e Rende all’ 0,8%; Catanzaro e Reggio Calabria allo 0,5%; Crotone e Vibo Valentia allo 0,6%). La seconda, che afferisce il periodo successivo ultra 2014, comporterà: a) l’Imu propria in sostituzione dell’Irpef, e relative addizionali, sui redditi fondiari e dell’attuale Ici (art. 7 e 8); b) l’Imu secondaria che sostituirà la Tosap, i canoni di occupazione di spazi e aree pubbliche, nonché altri tributi minori (artt. 7 e 11); c) la compartecipazione del 30% dell’imposta unica sui trasferimenti immobiliari in sostituzione dei relativi prelievi indiretti (art. 10) e del 30% di quelle non sostituite dall’anzidetta compartecipazione (art. 7); d) l’addizionale Irpef, facoltativa, da doversi riordinare con un successivo decreto delegato; e) l’imposta di soggiorno e quella di scopo, entrambe facoltative. Quanto, invece, alla perequazione, nella prima fase (2011-2013) prevede un Fondo sperimentale di riequilibrio, alimentato dalla totalità dei gettiti, da ripartirsi secondo i criteri da individuarsi con un successivo provvedimento; nella seconda (post 2014) ribadisce l’esistenza del Fondo perequativo (quello d.o.c. istituito dalla legge 42/09). Quest’ultimo, da rendere funzionante a seguito della determinazione dei fabbisogni standard correlati alle spese inerenti le cd funzioni fondamentali, sarà articolato in due componenti: una per le antidette funzioni fondamentali e l’altra per le residuali. La sua alimentazione e il riparto delle risorse, da effettuarsi tenuto conto della valorizzazione dei fabbisogni standard, anche essi rinviati ad un successivo provvedimento. A ben vedere, tante liti e pochi risultati operativi. I punti più importanti sono rinviati ad altri provvedimenti, tutti da negoziare. Proroga del termine del prossimo 21 maggio permettendo. Le valorizzazioni dei fabbisogni standard anch’esse differite agli esiti delle rilevazioni affidate alla Sose. Un esame, questo, fondato su questionari inviati a comuni (ma anche alle province), per molti versi incomprensibili per la stragrande maggioranza degli amministratori locali. Alcuni dei quali, i presidenti delle province, senza il conforto della necessaria “storia” economica (vedi quelle di Crotone e Vibo Valentia, ma anche quelle che hanno subito le relative scissioni). In buona sintesi, il decreto legislativo attuativo della fiscalità municipale registra alcuni difetti di fondo. Quello del rinvio dell’attuazione a regime del federalismo fiscale locale a provvedimenti che, forse, non vedranno neppure la luce o quantomeno verranno fuori con qualche difficoltà in più per l’attuale maggioranza a condividerli istituzionalmente. Quello che il provvedimento non conferisce affatto il grado di autonomia impositiva sancito dalla legge di delegazione. Infatti, nella fase transitoria, l’unico elemento di flessibilità è rappresentato dal maggiore gettito derivante dall’accatastamento degli immobili non dichiarati. In quella a regime, essa flessibilità è data dalla limitata variabilità dell’Imu propria entro la forbice di +/- 0,3%. Tutto ciò vorrebbe dire che quanto deciso non ha nulla a che vedere con l’autonomia tributaria pretesa dalla Costituzione e, quindi, dalla legge di delegazione del 2009. E’ solo un modo di sostituire, sotto le vesti di nuove denominazioni e rinnovati percorsi impositivi, i “vecchi” trasferimenti statali. Tralascio il difetto di pretesa della politica in generale, in relazione al funzionamento delle perequazione, che ancora nessuno propone e della quale nessuno reclama una doverosa conoscenza, solo perché imporrebbe un linguaggio forte. Sulla perequazione o si conferma l’Italia o si muore.

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