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di GIUSEPPE AUTIERO
Le parole del premier al Congresso dei Cristiani Riformisti obbediscono alla strategia di recuperare un consenso sfilacciato offrendo alla platea di turno quello che desidera: gli sponsor delle scuole private sono stati lusingati da qualche slogan ad effetto, il richiamo all’individuo, persino una parafrasi della Costituzione Usa (il diritto alla felicità); perché Berlusconi parte bene, ma poi il demonietto che cova in seno ha preso, come spesso avviene (e ne vengono gaffe madornali), il sopravvento, ed è scivolato in uno sconclusionato attacco alla “scuola di Stato”: «Potere educare i figli liberamente, e liberamente vuol dire di non essere costretto a mandarli a scuola in una scuola di Stato, dove ci sono insegnanti che vogliono inculcare dei principi che sono il contrario di quelli che i genitori vogliono inculcare ai loro figli educandoli nell’ambito della loro famiglia». E già il ministro Gelmini ha precisato che “non c’è stato alcun attacco alla scuola pubblica”: potremmo così digerire l’ennesima smentita, se stavolta non si fosse superato un limite. La scuola vive un periodo drammatico, e non solo per i fondi tagliati o per le riforme squilibrate, ma per le umiliazioni cui sono sottoposti gli insegnanti (a cui Tremonti ha bloccato gli scatti di anzianità); ma per l’aggressione di una “civiltà” (si fa per dire) spavalda nella sua ignoranza, che propone modelli di vita devianti, basati sul culto dell’esteriorità e del successo a qualsiasi costo; ma per l’avvento dei nuovi media, suadenti ma aggressivi e non innocui per i giovani, nei confronti dei quali media la proposta scolastica sa di carta ammuffita. Certo, i docenti hanno le proprie colpe, la demotivazione ed il calo di prestigio sociale non si combattono con sterili recriminazioni o chiudendosi nella propria aula sempre più angusta (in tutti i sensi, dacché a breve si dovranno raggiungere i 30 alunni). Ma, nonostante tutto, costoro, per quanto sfiduciati, sottopagati, insoddisfatti, continuano ad opporre una barriera al definitivo imbarbarimento. Il vescovo Bregantini ha lamentato che la scuola (o meglio, se la parola ha ancora un senso, l’educazione) trova un nemico formidabile nei modelli sub-liminalmente proposti dal Rubygate (ragazze esortate ad una lucrosa prostituzione, a passaggi tv, a carriere politiche; ragazzi destinati a sgomitare per fare il calciatore, il tronista, il gieffino o a rassegnarsi alla nullificazione dell’invisibilità televisiva). Ecco perché l’attacco alla scuola è intollerabile, in questa crisi di civiltà che si può riassumere nell’esaltazione della furbizia, della scorciatoia -questo male italico, questo ostacolo ad una maturazione occidentale della nostra nazione. L’idea che si possa fare la bella vita senza impegnarsi, al di là di ogni morale, è il contrario dell’etica faticosamente “inculcata” ai ragazzi dagli insegnanti. I quali, tra difficoltà e storture e limiti inenarrabili, si ostinano a trasmettere il senso del sacrificio personale, dell’impegno quotidiano in vista di un bene superiore anche se lontano, a lottare contro ogni tentazione di scorciatoie (dalla più banale, lo scaricarsi la versione da Google): il lavoro serio in vista di una moralità alta, dell’autoformazione eticamente consapevole del futuro cittadino. Sarebbero questi i “principi contrari” a quelli proposti in famiglia? Ecco perché gli insegnanti “dello Stato” (che continuano, dati alla mano, a formare i giovani meglio di qualsiasi scuola privata), impegnati in questa battaglia decisiva per la nostra società, non meritano il fango scagliato da un leader alla ricerca di una facile battuta, di un’ennesima risata, dell’applauso di una platea non disinteressata.

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