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di LUIGI M. LOMBARDI SATRIANI
L’incendio di un campo nomadi a Torino, la sparatoria contro i senegalesi – Mor Diopar e Modou Samb, morti, e tre feriti gravissimi – nella piazza del Mercato generale a Firenze richiamano con tragica perentorietà a una realtà che avevamo forse accantonata, forse nella speranza di una sua scomparsa.
Fra l’altro, le scorse settimane la nostra attenzione è stata totalmente attratta dalla gravissima situazione economico-finanziaria e dai provvedimenti che il nuovo Governo sta adottando per contrastarla e per un necessario risanamento, irresponsabilmente trascurato dall’esecutivo Berlusconi, abbarbicato a negare o a minimizzare con menzogne di ogni tipo una crisi sempre più evidente e grave. La realtà che abbiamo forse trascurata è quella di un razzismo che è insediato nella nostra cultura, permeandone buona parte e che scorre limaccioso sotterraneamente, salvo a emergere all’improvviso appena un evento, vero o supposto, ne fornisce l’occasione scatenante. Non possiamo liquidare la tragedia di Torino, per fortuna senza conseguenze mortali, e quella di Firenze come se fossero “soltanto” episodi sporadici di follia collettiva e individuale. Certo c’è della follia in questi episodi, come c’era della follia nella strage compiuta in Norvegia da Ander Breivik. Ma sospingerli nella zona della follia ci rassicura nella nostra complice serenità, conferendoci un improbabile innocenza. “ [.]la diagnosi sull’infermità mentale, anche la più fondata giuridicamente è umanamente insostenibile, perché toglie ai giustizieri la responsabilità che spetta loro ed esonera gli altri dall’interrogarsi su se stessi, gli altri sono i sani, cioè quelli che hanno (ancora) varcato la soglia che li trattiene dal massacro” (A. Sofri, in “la Repubblica” del 14 dicembre 2011). Queste violenze hanno suscitato lo sdegno di moltissimi e la solidarietà di quanti condannano sinceramente tali inaccettabili azioni. Ma, per quanto condivisibili, lo sdegno e la solidarietà sono sufficienti? Non dovremmo fermarci a riflettere su come nasca tutto ciò, di quali umori si alimenti, quali esigenze profonde esso testimonia? La costruzione della propria identità, individuale e collettiva, si realizza quasi sempre con la contrapposizione a un’alterità; tanto più forte e coesa è la “comunità-de-noi” quanto più si oppone alla “comunità-dei-loro”. Sulla perversa dinamica identità – alterità ho avuto modo di soffermarmi più volte su questo nostro giornale. Per sentirci “superiori” abbiamo bisogno di produrre degli “inferiori”, per pigmentazione della pelle, per genere, per credenze religiose, per orientamento sessuale, e così via. La diversità razziale è stata usata storicamente quale legittimazione di violenze, interpersonali e collettive sino all’orrore dell’Olocausto, delle persecuzioni dei Curdi, degli Armeni, dei Palestinesi, dei Bosniaci alle cui donne è stato in aggiunta inflitto l’oltraggio dello stupro per piantare nel loro grembo il seme della futura vita nemico. Andando indietro nel tempo si pensi soltanto allo sterminio degli indiani d’America e alle innumerevoli forme di ferocia dei conquistatori di ogni tempo. I rom, i senegalesi, sono accanto a noi, vittime designate perché ritenuti a priori colpevoli. Non è un caso che l’irresponsabile sedicenne cattolica tradizionale con il valore assoluto della verginità, dopo aver voluto far l’amore con il suo ragazzo, dovendo individuare un responsabile abbia attribuito a due rom uno stupro mai avvenuto, scatenando così l’ira collettiva e l’incendio del campo. Non sono casi isolati. Già dopo poche ore del massacro sul sito de “La Nazione” sul web e sui network sono apparse scritte e commenti di questo tenore: “Meno due”; “Grazie alla politica del buonismo è stata aperta la porta alla criminalità camorristica e extracomunitaria napoli è già qua”. “Solo due?”; “Due neri e un bianco: multiculturalità”; “Ma quando ci leveremo dall’italia questo sudiciume? Ci deve pensare il popolo?” In questo orizzonte il pluriomicida di Firenze può diventare un eroe, un modello, un paradigma di coraggio e di onore. “Purtroppo si è sparato, è il prezzo che ha pagato un eroe, una situazione ormai figlia dell’esasperazione di chi ha creato questa società multietnica che una bomba a orologeria pronta a esplodere”; “E’ un intellettuale, forse non ce la raccontano giusta. Potrebbe benissimo essere stata un’operazione dei servizi: un agente uccide gli allogeni, Casseri viene chiamato a un appuntamento in una piazza, lo ammazzano e gli mettono una pistola in mano”; “Onore eterno al camerata caduto, onore a lui che come pochi ha avuto il coraggio di fare ciò che dovremmo fare tutti in massa; sono più propenso alla loro espulsione anziché al loro assassinio, ma la vedo piuttosto dura come soluzione”; “Casseri eroe bianco vittima di un complotto volto a nascondere la verità e cioè che Firenze è ormai contesa tra bande di sporchi negri e criminali. E’ ora che qualcuno faccia pulizia di questa immondizia negra”. Già nei primi giorni i network hanno registrato migliaia e migliaia di messaggi inneggianti all’Eroe e al suo gesto. Effettivamente si sta realizzando una “miscela esplosiva che sfrenatezza finanziaria e paura dello straniero vanno accumulando”. Esiste un preciso quadro di responsabilità politiche rispetto a questo magma razzista che sta dilagando. Non possiamo dimenticare, infatti, che in questi ultimi venti anni c’è stata da parte di forze politiche a lungo al governo del Paese una sistematica predicazione di odio per lo straniero, l’immigrato, il diverso, tratteggiati sempre e comunque come portatori di minaccia e di pericolo. Dell’incontro interetnico non si preferisce per lo più considerare la vitalità dello scambio, la potenziale ricchezza di un rapporto paritetico. Spesso anche coloro che rifiutano con convinzione la violenza razzista finiscono, presi da ansia di immediata operatività, per sottovalutare l’analisi socio-antropologica, come se costituisse un momento rituale, sostanzialmente inutile. Altre volte, si sottolinea l’utilità di questo tipo di analisi, ribadendo come occorra non accantonarla subito dopo come se fosse sufficiente la mera enunciazione. Così Matteo Renzi, sindaco di Firenze, ha sottolineato come sia necessario impegnarsi in “una gigantesca questione educativa e culturale che è una sfida ancora più difficile della crisi economica” (La Repubblica, 14 dicembre 2011). Nei giorni scorsi, cortei contro il razzismo si sono svolti in tutta Italia, anche con la partecipazione di uomini della politica e delle istituzioni, gigantesco rituale collettivo silenzioso. Sono indispensabili dunque analisi sociologiche e antropologiche dell’universo razzista, dei suoi contorni e profondità, del fitto reticolato delle sue cause, motivazioni, bisogni, per poter elaborare risposte adeguate. Soltanto attraverso questo faticoso e indifferibile itinerario potremo far ricorso a tutte le nostre risorse culturali, etiche e politiche per rendere di fatto impossibili tragedie quali quelle di Torino, di Firenze che hanno marchiato così pesantemente queste nostre giornate.

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