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di ANGELO CANNATÀ
È tempo di sondaggi. Si misurano attese, aspettative, consenso degli italiani al nuovo governo. Uno in particolare mi colpisce: “Otto su dieci promuovono Monti”. Sono, al tempo stesso, contento e preoccupato: c’è molto ottimismo, penso, e questo è un bene. Ma sembrano davvero troppi questi consensi. Sono tra i pochi che non hanno capito nulla? Poi leggo le domande, come vengono poste (il “come”, influenza la risposta), e i conti tornano. Alcuni sondaggi sono molto benevoli, insomma. Bisogna spingere il nuovo Premier. E giù lunghe tirate sulla classe e lo stile: lo stile Bocconi, lo stile del grande professore, lo stile sobrio, lo stile british. Eccetera. Non saranno eccessivi questi discorsi sullo stile? “Gli uomini non sono sempre ciò che sembrano” (Lessing). Capisco la fiducia a un governo nato per uscire dalla crisi, per rimettere i conti in ordine, per liberarci dalle macerie del berlusconismo. Giusto. Ma è possibile porre domande, o, avendo criticato Berlusconi, dobbiamo accettare “tutto” del professore Monti? E allora, andiamo alla sostanza: cosa dicono – al di là dello stile – le prime mosse del neo Presidente? Il suo governo chiude per davvero col berlusconismo, o ne rappresenta la continuità in settori chiave e nell’impianto generale? La scuola. Insegno filosofia e ho vissuto da vicino, a Roma, le contestazioni studentesche al ministro Gelmini, il rifiuto di una politica che ha spostato denaro (troppo denaro) verso le scuole private, deprimendo le pubbliche di ogni ordine e grado. Cambia qualcosa col nuovo ministro? Non cambia assolutamente nulla. Risulta che Mario Monti abbia sostenuto la Gelmini e il ministro Profumo sia legato alla Cei e al Cardinal Bagnasco. C’è piena continuità. Non va bene. Di più: come neoministro della difesa abbiamo un ammiraglio, Giampaolo Di Paola, da tempo ai piani alti della Nato. Cosa possiamo aspettarci? Autonomia e indipendenza rispetto alla decisioni di Washington? Direi proprio di no. D’altronde, Monti non pensa a riduzioni delle spese militari: per ridurre il debito, si prepara a colpire il ceto medio. Dobbiamo stare allegri? E ancora: avevamo proprio bisogno – dopo Berlusconi – del nuovo conflitto d’interesse di Corrado Passera? Il neoministro dovrebbe tutelare l’interesse generale, contro la speculazione dei poteri forti e delle banche: è l’uomo giusto, avendo guidato per anni Banca Intesa? Anche qui, molti dubbi e una certezza: si poteva fare meglio, se non altro per confutare il vecchio adagio: “chi tiene stretta la borsa, ha il potere”. Potremmo dire, dettagliatamente, di altri ministri – in gran parte di area cattolica – e discutere delle inevitabili ingerenze del Vaticano nella vita politica italiana; o dell’ex prefetto, Anna Maria Cancellieri, nominato ministro dell’interno (l’uso politico dei prefetti preoccupa: le proteste, gli scioperi, le manifestazioni di piazza – nonostante i Black Bloc – rappresentano il sale di una democrazia: “i giovani protestanti inventano le idee – diceva qualcuno -, quando le hanno esaurite, il conservatore le fa sue.”) Ma al di là di questo, è l’indirizzo generale del governo che preoccupa. Siamo in presenza di professori che credono – ciecamente – nelle virtù salvifiche del mercato (“quelli che Marchionne ha sempre ragione”, e chi se ne frega dei disoccupati di Termini Imerese; quelli che il capitalismo – nonostante la crisi epocale – non si tocca). Tema delicato. E’ bene essere chiari. Da più parti si cita Karl Marx. C’è da alcuni anni una ripresa degli studi sul filosofo tedesco. Anche sulle pagine di questo giornale, molto opportunamente, è stato chiamato in causa l’autore dei “Grundrisse”. Cosa significa? Per quanto mi riguarda le tesi sulla futura società comunista sono pura archeologia. Utopia. Roba vecchia. E’ innegabile tuttavia che il Marx critico della società capitalistica sia fortemente attuale. Nei “Manoscritti economico-filosofici” del 1844 evidenzia i limiti dell’economia borghese, l’incapacità di leggere in termini dialettici il sistema capitalistico. Non bisogna “eternizzare” – dice – il sistema capitalistico, ma leggerlo come “un” sistema economico (fra i tanti della storia). Ecco: aldilà della soluzione utopistica di Marx, il problema è ancora lo stesso: creare un modo di produzione e di distribuzione della ricchezza “diverso”. Un modo più giusto. E’ quello che chiedono, in tutto il mondo, i “No Global”. Ma né Monti, né i suoi ministri pensano in questa direzione: il capitalismo non si tocca, l’obiettivo è la crescita, a qualunque costo. Si cerca di evitare il “default” con gli stessi strumenti che l’hanno determinato. E’ un errore. Passeranno alcuni mesi e il dissenso crescerà. Le masse protesteranno. Il governo dei banchieri sarà sfiduciato. Ma rischia di essere tardi. Vauro l’ha detto con lucida e amara ironia: “E la democrazia?”, scrive. Risposta: “Ce l’hanno pignorata le banche!”.

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