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di MICHELE RIBELLINO
NEGLI ultimi anni, la letteratura storica su Mazzini si è arricchita di molteplici studi, che vanno dall’analisi del suo pensiero politico alle biografie vere e proprie. Al di là di qualsiasi strumentalizzazione politica, bisogna ribadire, con vigore, che tutti gli storici sono, ormai, concordi nel considerare Mazzini, uno dei personaggi più accesamene anticomunista del XIX secolo. Lo storico L. Cecchini sostenne, nel gennaio 1990, questa tesi dell’anticomunista, ribadendo come Mazzini avesse denunciato, in moltissimi scritti: “il comunismo come negazione di ogni libertà e autonomia, così dell’individuo come dai corpi sociali” e avesse individuato nell’ideologia comunista la “radice di ogni tirannide”. Lo storico, di area repubblicana, critica i marxisti per il giudizio liquidatorio su Mazzini. Cecchini si riferiva, quasi certamente, al giudizio negativo di Togliatti che, in un articolo del 1931, aveva lanciato insulse invettive al ruolo di Mazzini nel Risorgimento e aveva rilevato sue pseudo-simpatie verso il corporativismo fascista. L’asservimento di Togliatti alla centrale moscovita, lo indusse ad assumere una posizione contro il Risorgimento e i liberal-socialisti che, invece, ne difendevano l’eredità storica e le conquiste liberali e nazionali. Nel “Manifesto” del Comitato centrale democratico europeo (1850) firmato dal francese Ledru Rollin, dal polacco Albert Darasz, dal tedesco Arnoul Rogne, Mazzini fissò, infatti, i punti del suo pensiero democratico: “libertà, associazione, progresso di tutti ad opera di tutti”. Giuseppe Mazzini ebbe, anche, il merito di dare, alle diverse richieste d’indipendenza, un carattere democratico. Il Risorgimento nazionale, in quanto opera del popolo, doveva scegliere la repubblica democratica come forma di governo, mentre l’alleanza dei popoli doveva essere scelta dalle democrazie nazionale. Sostenne, inoltre, che bisognava procedere all’applicazione dei principi d’eguaglianza e credere nella santità del lavoro e nella sua inviolabilità, nella proprietà che ne deriva come segno e frutto del lavoro compiuto. Mazzini risolse l’antitesi, tra l’unità democratico-nazionale e il con federalismo neoguelfo, con il ricorso ad una struttura politica moderna illustrata nel programma dell’Associazione Nazionale Italiana del Popolo. I temi del lavoro furono temi cari a Mazzini, che vi ritornò insistentemente tra il 1850 e il 1860. La soluzione della questione sociale poteva essere rosila solo dalla capacità dei lavoratori associati liberamente. La critica di Mazzini fu devastante sia nei confronti del capitalismo sia nei confronti del comunismo, entrambi responsabili della povertà della classe operaia. Nei “Doveri dell’uomo” Mazzini sollevò la condizione penosa dei lavoratori, i quali dal salario traevano appena il necessario della vita fisica. Criticò il capitale “despota del lavoro” e i capitalisti “detentori dei mezzi a strumenti di lavoro; ma non approvò l’abolizione della proprietà individuale proposta dal comunismo. Non pochi storici mettono, infatti, in rilievo come il programma politico di Mazzini, dalla costituzione della Giovane Italia (1813) e della “Giovane Europa” (1850) sino alla lotta per l’unificazione nazionale, sia caratterizzato dall’ideale anticomunista, promessa indispensabile di ogni rivoluzione democratica. La costituzione dell’Italia in uno stato repubblicano, e quindi il rifiuto del Comunismo come negazione della libertà, doveva poggiare, per Mazzini, su una larga base di autonomie amministrative, in un quadro unitario dell’organizzazione politica centrale. Pur negando l’uso smodato dello sciopero, Mazzini si battè, tuttavia, per l’organizzazione della classe lavoratrice nelle Società operaie, alle quali rivolse particolare attenzione nel corso della sua vita.

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