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di NINO D’AGOSTINO

ERRARE è umano, ma perseverare è diabolico: si pensava che, dopo le osservazioni di legittimità, esternate dal giuslavorista Ichino e di merito fatte da politici, sindacati, esperti regionali, fosse stata definitivamente accantonata l’idea sciagurata dei mille stagisti da collocare nella pubblica amministrazione regionale, impiegando 16 milioni di euro, che aveva prodotto ben 13 mila domande da parte di disoccupati lucani. Dietro c’era un messaggio devastante: il posto fisso nella Pubblica Amministrazione, una prospettiva illusoria in un settore in cui vi è esuberanza di personale. Eppure, si è ritornati alla carica da parte dei proponenti di allora: non c’è limite al peggio. Invece di affezionarsi a proposte sbagliate sarebbe molto più utile dedicare le proprie energie ad affrontare i veri nodi del mercato del lavoro. Proviamo ad elencarne alcuni, i più spinosi. Il primo attiene al lavoro irregolare che riguarda oltre il 20% della occupazione regionale e circa 1,5 miliardi di euro di Pil prodotto nella regione. Il lavoro sommerso diventa una risorsa fondamentale per l’economia lucana, se fatto emergere. Occorre lavorare in questa direzione, d’intesa tra governo centrale e regione. Il secondo nodo concerne il caporalato in agricoltura: non basta denunciarne gli aspetti illegali che spesso sfociano in odiose condizioni di vera e propria schiavitù, occorre mettere da parte impostazioni ideologiche ed andare alla sostanza del problema che attiene alla necessità per le aziende agricole di disporre di mano d’opera e per i lavoratori di poter contare su servizi di trasporto efficienti, due fattori che comportano costi ed organizzazione che si possono gestire in trasparenza, se si vuole. Il terzo si riferisce ai circa 4500 precari impiegati nella forestazione produttiva che sono sostanzialmente dipendenti pubblici a tutti gli effetti, sui quali si pongono in prospettiva seri problemi di sopravvivenza lavorativa che vanno, dunque, affrontati con urgenza. Il quarto nodo concerne lo spiazzamento che c’è tra domanda di lavoro ed aspettative delle persone in cerca di lavoro, con particolare riferimento alla disoccupazione giovanile e al suo interno alla componente femminile che registra tassi di disoccupazione doppi rispetto a quella maschile. Le donne rappresentano la vera emergenza lavorativa, un loro impiego ottimale è alla base del rilancio della famiglia e del conseguente tasso di natalità, oggi depresso a livelli tali da compromettere l’intero tessuto demografico regionale. Le difficoltà delle aziende artigiane nel reperire nuovi apprendisti, il ricorso a mano d’opera esterna alla Basilicata soprattutto in agricoltura e nell’industria delle costruzioni, nei servizi di cura alla persona, per non parlare delle competenze difficilmente reperibili nei settori innovativi, sono esempi plastici di un mercato del lavoro che vive profonde contraddizioni territoriali, professionali, anagrafiche e di genere. C’è un grande problema di orientamento scolastico (e siamo al quinto nodo) in Basilicata come altrove in Italia: i giovani non considerano nella giusta valenza la iscrizione agli istituti tecnici e professionali, pur essendoci sbocchi occupazionali molto più significativi rispetto a quelli offerti da molti licei ed università di tipo umanistico. Continuano a sognare di fare l’avvocato, l’architetto o l’insegnante, avanti a tipologie professionali alquanto intasate che in fondo prefigurano i nuovi poveri. Delineare una efficace politiche per l’orientamento scolastico e lavorativo, rivedendo, tra l’altro, il ruolo dei servizi per l’impiego, può essere una decisiva azione strategica per rimettere ordine, nel breve e medio periodo, all’incontro tra domanda ed offerta di lavoro. Il sesto groviglio attiene alla politiche per l’occupazione. Scontiamo il falso mito delle politiche attive del lavoro: si dà per acquisito che siano sempre efficaci per creare nuovi posti di lavoro, non si mette in dubbio minimamente che incentivi erogati, spesso a piene mani, in contesti produttivi poco dinamici possano essere controproducenti e servire per cristallizzare equilibri produttivi precari. La cultura del sussidio imperversa (si veda ad esempio, gli stagisti citati in precedenza) e attiva paradossalmente premialità, di varia natura, ingiustificate. Monitorare e valutare le misure fin qui intraprese sarebbe azione auspicabile, nell’ottica che occorre conoscere per programmare, “cercare ancora”, come ammoniva l’economista Claudio Napoleoni. Ma la preoccupazione è spendere, spendere, spendere, a prescindere dai risultati che non sono certo esaltanti. Per ragioni di spazio ed anche perché meritano approfondimenti specifici, non si entra nel merito delle problematiche concernenti i due grandi poli di eccellenza industriale di Melfi, dove è in discussione la sua centralità all’interno del settore auto della Fiat e del mobile imbottito di Matera, per il quale andranno definite azioni di riconversione produttiva ed il tema del reimpiego degli operai in cassa integrazione ed in mobilità che coinvolge diverse migliaia di lavoratori. In tutto questo ginepraio di criticità, dulcis in fundo, non abbiamo né il piano pluriennale del lavoro, né quello annuale, pure essendo espressamente previsti dalla l.r. n 29/98. Non disponiamo, dunque, dei due strumenti fondamentali per assicurare gli opportuni collegamenti con le altre politiche settoriali (i piani di formazione , istruzione ed orientamento professionale, ecc.). Non li abbiamo avuti nella scorsa legislatura, li stiamo aspettando in questa e nell’attesa si sfornano azioni di politica del lavoro a iosa. Si preferisce navigare a vista, assecondando gli interessi costituiti e contingenti delle aziende, degli enti di formazione e delle clientele politiche, a cominciare dal piano di dimensionamento scolastico, approvato di recente dalla regione che ha stravolto il prezioso lavoro bipartisan svolto dalle due province lucane. Ma tant’è. A quando la svolta?

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