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di DOMENICO TALIA
Se un viaggiatore in un pomeriggio soleggiato di settembre percorrendo in auto un’autostrada ampia e sgombra (naturalmente non stiamo parlando della SA-RC) inizia a rilassarsi, corre il rischio di avventurarsi in pensieri che si materializzano in completa libertà. Quello che lui vive è uno stato di grazia piacevole e pericoloso. Così gli può accadere di pensare che in una regione in fondo allo Stivale ci siano ospedali che fanno di tutto per ribellarsi alla definizione che al loro nome danno i dizionari (“istituto pubblico o privato destinato all’assistenza sanitaria, nel quale si provvede al ricovero e alla cura dei malati”) e diventano luoghi dove possono accadere i fatti più stravaganti. Appunto, in quella parte della nazione con un passato molto remoto di cui tutti si vantano e con un presente che ispira tristezza, ci può essere qualche ospedale che è stato finora più efficiente nell’ospitare i piccioni che gli ammalati, tanto che i loro abbondanti escrementi hanno per molto tempo decorato i davanzali delle sue finestre. Ci può essere un ospedale nei cui depositi ogni tanto si trovano custodite armi senza proprietario, finite lì chissà per quale recondito motivo. Un ospedale dove qualche sedicente collaboratore dei servizi segreti possa pensare di depositare un ordigno (chissà perché proprio lì?) per farlo esplodere o solo per minacciare qualcuno. Un qualche ospedale dove sono state acquistate mascherine e altro materiale sanitario a prezzi degni di una gioielleria di Tiffany. Per quanto possa sembrare strano, in quella terra ci può essere un ospedale che quando muore un paziente, il rischio per i medici non è tanto di ricevere una denuncia ma piuttosto una pistolettata da parte di un amico o di un parente non contento delle cure che sono state prestate allo sfortunato. Quel tipo di ospedali in cui, se arrivi con un anziano o un malato grave, ti conviene correre a trovarti una sedia a rotelle altrimenti lo devi portare a spalla fino al Pronto soccorso poco pronto e dal soccorso molto inquietante. Quando la sedia l’hai trovata e magari il paziente deve andare in radiologia hai buone probabilità di rimanere chiuso con lui nell’ascensore e non ti devi spaventare o arrabbiare, non serve a nulla. Devi solo sperare che qualche altro parente o paziente che si trova a passare da quelle parti vi aiuti a uscirne vivi da lì. Un ospedale dove sono maturati omicidi eccellenti. Forse perché negli anni la sanità si è mischiata con la clientela, la ‘ndrangheta e la politica in un mix insano e criminale. Un ospedale dove, insieme a tanti infermieri onesti e disponibili, convivono altri che il mestiere d’infermiere non lo conoscevano prima di entrarci e non lo hanno conosciuto dopo tanti anni in cui lì hanno bivaccato. Un posto dove se le aiuole non le puliscono i cittadini probi, diventano selve. In quel tipo di ospedale puoi trovare medici che, in un edificio in cui mancano tante cose (le mattonelle ai pavimenti o le porte ai bagni), si dedicano ai pazienti come lavorassero al Washington Medical Center. Ma attenzione a pensare che siano tutti così! Un ospedale in cui un giornalista può entrare e leggere cartelle cliniche, radiografie e via di questo passo. Dove i cerotti, più che per curare le ferite, servono per tenere attaccate le prese ai muri. Dove nei bagni devi andarci finché è giorno perché le lampadine sono volate vie o non ci sono mai state. In un ospedale così se sei fortunato, le lampadine ai bagni le puoi anche trovare, ma non ti puoi meravigliare se le porte di quei bagni sono sbilenche e non si chiudono e i rubinetti piangono senza tregua, forse coscienti del luogo in cui si trovano. Un ospedale dove i criminali ci vanno volentieri perché lì si può entrare da detenuti finti malati e si esce da latitanti sani e contenti. Per quel tipo di pazienti quella specie di ospedale fa miracoli. In un posto dove nessuno vede o sente nulla quando chiama un povero anziano sofferente, figurarsi la discrezione che si ha quando si dilegua con leggerezza un capobastone particolarmente silenzioso. Erano questi strani pensieri e immaginazioni che riempivano la testa del viaggiatore mentre guidava spensierato. Ma appena la strada si era fatta stretta e piena di interruzioni (sarà arrivato sulla SA-RC?) questo flusso di pensieri gli si fermò in testa e tutto quello che aveva pensato gli sembrò irreale. Non poteva esserci un ospedale di quel tipo alla fine dell’Italia che qualcuno vorrebbe unire al Nord Africa; impossibile un posto con tutti quei guai. Perché se quell’ospedale esistesse veramente, le tante persone oneste impiegate lì senza alcuna raccomandazione avrebbero protestato e scioperato per far cambiare le cose. I tanti pazienti costretti a farsi curare avrebbero fatto migliaia di denunce. Sicuramente la stessa popolazione che dovrebbe essere servita da quell’ospedale così originale avrebbe organizzato proteste indignate e infinite fino a pretenderlo uguale a un vero luogo di cura. Ed infine, i pochi politici onesti (con loro stessi e con i loro elettori) che comandano e hanno cura del res publica da quelle parti avrebbero certamente preteso azioni dai governi regionale e nazionale per eliminare tutte quelle brutture. Dunque, poichè tutte queste azioni intorno a quell’ospedale non sono mai accadute, un ospedale come quello immaginato dal viaggiatore, lì in fondo all’Italia continentale, non c’è. Certamente quel viaggiatore dai facili pensieri si è sbagliato clamorosamente. Le sue sono state solo fantasie.

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